La parola è da sempre tematica principe della riflessione filosofica e teologica, ma esiste un’espressione altra e altrettanto significativa, in grado di ospitare il senso più celato e profondo dell’esistenza, in tutte le sue molteplici espressioni. Si tratta del silenzio, del raccoglimento interiore che precede l’esplosione di ogni forma e pensiero. Tra i massimi teorici della valenza maieutica del silenzio, si annovera il filosofo della religione Romano Guardini (Verona 1885 – Monaco di Baviera 1968), intelligenza acuta e genio versatilissimo, in grado di vergare in vita più di cinquecento scritti, tra cui i noti Lo spirito della liturgia, Il senso della Chiesa e Il testamento di Gesù.
Influenzato dal pensiero esistenzialista, dalle istanze kierkegaardiane, e dalle innovazioni metodologiche apportate da Husserl e Scheler, indagò le ragioni profonde dei drammi umani, la frammentazione della conoscenza tipica della sua epoca, l’angoscia e la solitudine, riconducibili al delirio dell’uomo moderno, divenuto incapace di trascendenza alcuna. Le istanze e le intuizioni del Guardini avrebbero trovato un terreno fertile durante il Concilio Vaticano II, influenzando le riflessioni e le prassi liturgiche successive. Il motivo ricorrente nell’opera omnia dello stesso risulta essere il silenzio, come giustamente sottolineato da Silvano Zucal, nel documentato studio dal titolo Romano Guardini, filosofo del silenzio.
Un interesse che investì scritti diversissimi, filosofici, teologici, liturgici e pedagogici. Presente, peraltro, anche nell’epistolario e negli appunti privati. Il silenzio liturgico diviene metafora di un modo di presenziare a se stessi, dinnanzi a un’alterità misteriosa e insondabile, occupando luoghi e tempi nel segno della determinazione, dell’impegno, del sacrificio e della gratitudine.

Il silenzio non si riduce, per il nostro, a un mero atto della volontà o a un semplice desiderio di tranquillità. Non consiste in un’assenza di parola e di rumore. Non viene definito per via negativa, come una sorta di spazio vuoto da colmare, da riempirsi. Il silenzio, come la pace, è una spoliazione ricca e feconda. Il silenzio non è mai distratto, ma vigile e pronto, identificandosi con un’apertura e una disponibilità all’incontro. La Chiesa universale nasce dal silenzio, solo così diviene comunità di uomini. Il silenzio è indicato come presupposto irrinunciabile, e viatico, di ogni azione sacra. La parola non viene al mondo, non assume carne e sangue, se non viene preceduta dal silenzio.
“La parola è essenziale ed efficace solo quando nasce dal silenzio”, così si esprimeva il teologo veronese ne Il testamento di Gesù, aggiungendo inoltre come la parola dovesse, al contempo, sottrarsi da qualsiasi tentazione prevaricatrice e autoreferenziale, degenerando in un vaniloquio incapace di germogliare verità. Oggi, i mali del secolo sono rappresentati proprio dalle tentazioni del mutismo, dello sproloquio, dell’uso distorto e fazioso del linguaggio, di una parola usata per offendere, lacerare, ferire e mutilare il prossimo della sua dignità. L’insegnamento di Guardini appare così decisamente attuale, fornendoci una chiave di lettura profonda degli eventi contemporanei.