Giulio era un uomo alto, magro, con occhi cerulei, perennemente abbronzato, i capelli solo un po’ ingrigiti e pettinati all’indietro, vestiva con sobria eleganza, da sportivo, indossando delle impeccabili polo. D’altra parte era stato campione proprio di polo, uno sport altamente elitario : si vantava di aver giocato con Carlo d’Inghilterra e di aver praticato il bob a due ed il più rischioso skeleton, pancia in giù e testa in avanti sulla slitta, sulle piste ghiacciate di Cortina e di Sankt Moritz.
Mio padre ,che lo aveva conosciuto e frequentato presso comuni amici, lo aveva invitato anni fa a trascorrere qualche giorno di vacanza nella nostra casa al mare di allora. Sarebbe arrivato da Venezia, dove diceva di abitare in un appartamento nei pressi di piazza San Marco. Doveva restare con noi per un periodo breve, solo una visita di cortesia, invece si trattenne per più di due settimane. Noi in famiglia prendevamo in giro nostro padre, accusandolo di averci portato in casa uno scroccone, forse anche un po’millantatore.
Invece, guardando più a fondo, era solo un uomo sui settantacinque anni, nel tramonto della sua vita ; a qualsiasi domanda rispondeva :”con molta gioia !”; sembrava avere modi affettati, studiati, ma poi capivi che nel suo mondo era così che si parlava. Forse indugiò a restare con noi perché si trovava a vivere in una vera famiglia, cosa che evidentemente non aveva mai fatto.
Giulio viveva gran parte del suo tempo ad Acapulco, una nobile decaduta capitale del turismo americano sul Pacifico, in Messico. Negli anni 60 e 70 il sogno di ogni viaggiatore era raggiungere questa città con una delle più incantevoli baie del mondo, poi è arrivato il mito più alternativo ed underground di Puerto Escondido, ora la meta più ambita è Cancun, la Las Vegas messicana dei bonaccioni yankees, affacciata sull’Atlantico.
Giulio non aveva seguito le mode, si aggregava malvolentieri alla comunità italiana che ogni anno trascorreva l’inverno sulle calde e miti coste della città messicana.
Italiani che raggiungevano Acapulco con affollati charter che partivano da Toronto, da Nuova York, da Montreal. Italiani di umili origini, nati in Sicilia, in Calabria, in Abruzzo, nel Veneto.
Le spiagge da gennaio a marzo si riempivano , ed ancora oggi puntualmente accade, di uomini e donne anziani che parlavano italiano con influenze dialettali, alternate da “oh, my God!” ed altre espressioni yankee.
I venditori messicani si adeguavano e percorrendo avanti ed indietro la spiaggia, dominata da alti grattacieli, urlavano “Cocco ,cocco belo!” o “Tacos, piadine ripieno!” come su un qualsiasi lido versiliese o romagnolo.
Giulio stava un po’ in disparte, combattuto tra la solitudine del suo vecchio ruolo e la necessità di avere compagnia. Lui, uomo di mondo che aveva conteso a Gigi Rizzi primati ritenuti invidiabili da qualunque maschio latino, doveva ora convivere con anziani compatrioti pensionati, partiti ventenni dal paesino, senza soldi in tasca, come Salvatore.
Costui, da ragazzo, negli anni sessanta, aveva conosciuto Rita e se ne era innamorato. Ma un giorno la famiglia di lei era partita per Toronto e Salvatore cercava di rassegnarsi ad una storia d’amore finita male.
Finché non ebbe un sussulto di ribellione al suo destino e decise di partire per il Canada, in dicembre, quando faceva freddo, molto freddo, senza un soldo e senza i vestiti giusti. Ma Rita era lì ad aspettarlo.
Presto Salvatore trovò un lavoro, imparò l’inglese, sposò Rita, mise su famiglia, crebbe dei figli , oggi manager affermati.
Gli italiani pensionati del Nord-America hanno tutti esercitato lavori dignitosi, dopo essere passati attraverso immani sacrifici e non poche umiliazioni ; chi come Carmela guidava uno scuolabus, chi era impiegato di banca, chi aveva una lavanderia a Brooklin o gestiva un minimarket a Toronto. Tutti fieri della loro scelta giovanile, magari iniziata con una prima tappa in Svizzera, come Gaetano.
In Italia oggi non troveremmo nessun pensionato con un impiego pari al loro che possa permettersi quel tenore di vita.
Talvolta, all’ora del tramonto, sulla spiaggia, quei pensionati italiani ancora oggi si radunano e accompagnati da una chitarra, cantano le più belle nostre canzoni, da “Sole mio ” a “Nel blu dipinto di blu” ma anche “L’italiano vero “ di Toto Cotugno o “La bambola” di Patty Pravo, e terminano sempre intonando “Fratelli d’Italia”, con la mano sul cuore. E i canadesi francofoni del Quebec rosicano, come rosicano !
Anche Giulio era a suo modo un pensionato. Chi lo aveva conosciuto diceva che, dal balcone con vista sulla baia della sua casa messicana, si scorgeva la veranda di un grande albergo, dove una bellissima donna ogni sera, affacciandosi, lo salutava con un sospiro; forse il suo unico, grande amore.
Oggi Giulio non c’è più, chi è entrato in casa sua ha potuto ammirare un appartamento che, pur senza lusso, aveva il gusto di chi sapeva guardare alla bellezza delle cose. Un’alta statua lignea delimitava un angolo dell’ampia sala con le pareti bianche e azzurrine che restituivano la luce del sole che penetrava dall’ampia vetrata rivolta verso il mare; ma ciò che colpiva il visitatore era trovare allineate in perfetto ordine su un mobile basso, laccato di bianco, cornici d’argento che incastonavano ritratti in bianco e nero di tante donne bellissime e sorridenti, di una classe infinita. Ha potuto poi trovare la fotografia che immortalava la stretta di mano con Carlo d’Inghilterra e quelle di uomini su un bob e qualche immagine di Venezia.
Nel garage sottostante, restava parcheggiata, nascosta da un anonimo telone, una MG d’epoca biposto, decappottabile, ancora lucida, di uno splendente color verde bottiglia.
Giulio è morto solo, nessuno reclama i suoi trofei, nel suo residence non sanno che farne. “Nadie se presentò” spiegano i custodi all’ingresso.
Giulio ha rappresentato un’età dove la voglia di vivere era dominante, dove i sacrifici erano debitamente ripagati, dove ogni settimana una canzone nuova si irradiava nell’etere e restava nella colonna sonora della vita di ognuno, dove le donne erano belle perché avevano fascino.
Per conquistarle non occorrevano tatuaggi e diamantini al lobo dell’orecchio , solo tanto stile e…molta gioia.