Non di rado i dibattiti politici e culturali vengono canalizzati da battute estemporanee, tweet al vetriolo o, molto più semplicemente postulati di fede e trattati di verità divina dei soliti noti. Capita così che salgano alla ribalta delle cronache oscuri personaggi noti per un video caricato su Youtube e/o un post di condanna sulla deriva della società italiana. I seguaci di Gad Lerner e Vauro mietono consensi a colpi di “Razzista”, “Fascista” e “Populista”, scagliandosi contro chiunque azzardi un pensiero diverso ed articolato. La mannaia democratica rade al suolo sentimenti e pulsioni avverse, uniformando il tutto sotto la bandiera del “politicamente corretto”.
Soliloqui in libertà corredati da insulti, falsità e arroganza. Il bersaglio preferito, Matteo Salvini, viene raffigurato come un belzebù dei giorni nostri, un Goebbels della comunicazione. Un nemico da abbattere. E via con la retorica resistenziale, secondo cui il nemico si palesa oggi sotto altre forme ma con le prerogative di sempre. Un fuoco incrociato che parte dalla disinformazione e dall’artefazione della realtà (emblematico – in tal senso – il post-fake del leader leghista ripreso dal gruppo musicale “99 Posse” e commentato da migliaia di persone). Cantanti (o aspiranti tali), ma anche semplici sconosciuti. Alzi la mano chi ricorda un libro, un’opera teatrale o un intervento di spessore culturale e politico di Saverio Tommasi, nuova icona della sinistra radical-chic tutta caviale e prosopopea.
Dalla sua pagina facebook, però, il guru del sinistro conformismo lancia anatemi e strali contro i miscredenti. I residenti del Trevigiano che si oppongo allo smistamento di nuovi clandestini diventano dei nuovi Himmler, i militanti di CasaPound un ricettacolo di avanzi di galera, i lettori de “La Croce” di Adinolfi dei retrogradi e bigotti, i berlusconiani dei servi e collusi. E mentre in rete le parole diventano pesanti come macigni, dietro il piccolo schermo il vignettista Vauro, noto collezionista di divise dell’Armata Rossa e sincero democratico, intravede in ogni lembo di terra inquietanti ombre nere. I grillini come braccio armato del revanscismo nero, gli ex “fascisti” come avversari da abbattere. Ieri come oggi. Ma con il sorriso sulle labbra.
Il buon Gad Lerner, invece, segnala a tutti gli internauti che lui andrà alla festa dell’Anpi “per ricordare a tutti che alla testa della destra italiana c’è di nuovo un movimento fascista”. Così, giusto per non cambiare il solito disco della sinistra di ogni risma e dimensione. La demonizzazione dell’avversario come ragione di vita, collante di umori e cornice di idilliache raffigurazioni. E mentre l’ex (sfortunato) candidato della lista Tsipras Marco Furfaro invita a tenere alta la guardia contro i bombaroli neri ultranovantenni (“Non saremo mai complici di chi semina odio per facili consensi elettorali”), il più abile ed intelligente dei salottieri radical chic si dimena in televisione tra servizi trash e reportage con il colbacco in testa. Il viso sornione e il pelo grigio di Enrico Lucci nascondono l’anima di un ragazzino cresciuto a pane ed ideologia comunista, con il mito di Berlinguer e il sogno di diventare segretario del partito. Celebri i suoi servizi con improponibili (ed improbabili) personaggi sbeffeggiati e rieducati a colpi di lezione di storia e morali a senso unico. Un uomo perennemente in missione, diviso tra eventi mondani, ciniche badanti, disoccupati ed operai colpiti dal sistema.
Un esercito disarmato – almeno idealmente – guidato da Furio Colombo. Il giornalista (in passato direttore de “L’Unità) e presidente di Sinistra per Israele, ha convissuto con l’ossessione del nemico. Prima fascista, poi berlusconiano e, infine, leghista. Angosciato dalle sorti non solo italiane ma europee, ha etichettato Marine Le Pen come “figlia del regime di Vichy”, prima di riesumare l’argomento delle foibe definendolo “un chiaro simbolo della vitalità dei nuovi estremisti per creare martiri ed esaltare il sentimento di sacralità della nazione e dei confini”. Un déjà–vu di chi intinge il proprio pennino nel torbido da ormai quaranta anni. Un “cattivo maestro” che ai tempi degli anni di piombo apparteneva con orgoglio alla nomenklatura intellettuale che giustificava ( e,in alcuni casi, copriva) i barbari assassini di militanti missini.
Insomma: un uomo tutto d’un pezzo. Degno rappresentate di un esercito un po’ naif, altezzoso ma “armato” fino ai denti di pregiudizi, sentimenti rancorosi ed arroganza. Sempre in prima linea. Sempre dalla parte giusta.