Salvini non è più il Re Mida della politica italiana, in grado di trasformare col suo tocco ogni uscita pubblica in oro e consenso per la Lega. La sconfitta (per meglio dire la non vittoria) in Emilia lo ha dimostrato ampiamente lasciando un segno profondo. Giocare tutto sulla sua persona come trascinatore di masse è stato per lui e per la Lega, alla prova dei fatti, controproducente e determinante – in negativo – sul risultato finale.

Gli elettori, che sembravano sin qui disposti a perdonargli i numerosi errori strategici o di comunicazione, come l’apertura di una crisi di Governo al buio con la sfiducia a Conte, che ha aperto la strada di un ritorno al potere del PD, le comparsate al Papeete con tanto di Mojito e cubiste, le tante discutibili uscite pubbliche (dall’elogio degli assassinii mirati di marca USA, al possibilismo sulla figura di Draghi come successore di Mattarella, al deferente ripetuto sostegno a Israele) sembrano ormai essersi stufati del suo iperpresenzialismo. Se era riuscito fin qui a coprire le contraddizioni della Lega attirando solo di sé l’attenzione ora l’appannamento della sua immagine vincente pare metterle in risalto.
La recente uscita pubblica di Giorgetti, suo principale consigliere politico, in favore di UE ed Euro più che un endorsement appare come una dichiarazione di resa a tutto quello che la Lega diceva di voler combattere. Una pubblica genuflessione che si legge tutta in quel “siamo affidabili” che assomiglia tanto a una supplica di accettare la Lega come interlocutore da parte della cupola dei bankster fautori del liberalcapitalismo filo UE.
Concetto rafforzato proprio nell’intervista resa al Corriere dallo stesso Giorgetti il 14 febbraio “…io sono il responsabile Esteri della Lega e se dico che non usciamo da Ue ed euro, non usciamo. Punto…”.
Forse è questo il vero nocciolo del problema, più dei consensi in calo (rispetto alle Europee). Più delle sgangherate citofonate in diretta sotto l’occhio dei cronisti, più della controproducente criminalizzazione di un’intera regione sui fatti (innegabili) di Bibbiano (dove peraltro gli elettori del PD si sono dimostrati compatti) più della debolezza della candidata Borgonzoni (quasi scomparsa dai radar della campagna elettorale perché messa in ombra dall’onnipresenza del ‘Capitano’) più degli errori politici piccoli o grandi (la candidata della Lega in Emilia Romagna pare orientata a non andare in Consiglio regionale a fare opposizione preferendo restare in Parlamento).
Se è rimasto qualcosa del ‘tocco miracoloso’ di Salvini pare si sia trasformato nel resuscitare un PD che era già pronto per l’estrema unzione e invece ha mantenuto il controllo di una regione strategica dando l’impressione di poter fermare il moto inerziale dei favori elettorali che lo vedevano da mesi soccombente.
Saranno comunque le contraddizioni interne (Borghi e Bagnai da una parte Giorgetti dall’altra) e il tradimento dei tradizionali cavalli di battaglia a metterne in discussione, se non ci saranno inversioni di tendenza, a metterne definitivamente in discussione coerenza e affidabilità?
Bisognerebbe che al più presto qualcuno corra ai ripari, magari spiegando a Salvini che per essere sovrani è indispensabile non essere sudditi di nessuno, come invece lui dimostra di essere nel sostegno a Trump dopo un omicidio mirato. Non si può essere credibili a parlare di sovranismo e guardare Washington con servile deferenza, almeno per un fatto di stile.