Per chi non fosse aggiornato sulle minuzie del web, sabato 11 dicembre è apparso su Fanpage un video con protagonista un Roberto Saviano come non l’avete mai visto. Gli occhi arrossati, le occhiaie, la gestualità nervosa, insomma ancora prima di conoscere il tema siamo istintivamente colti da un moto di compassione verso qualcuno che sta chiaramente soffrendo. Quale dunque l’abominio che tormenta il nostro eroe?

Ma si capisce: è il “sequestro” di Atreju, personaggio de La Storia Infinita di Michael Ende, perpetrato alle sue spese da nientemeno che Giorgia Meloni. Esatto, infatti ci si sarebbe permessi di prendere da lui il nome per la kermesse di Fratelli d’Italia, che poi ambisce ad essere un festival natalizio dei conservatori tutti, con un invito aperto a tutti leader politici italiani, che anche quest’anno sono accorsi numerosi, da destra a sinistra e da sinistra a destra. Saviano quindi prova ad “argomentare” sommariamente che Atreju non può incarnare valori “di destra” in quanto non ha una famiglia tradizionale (sic) – e in ciò si potrebbe condensare tutto il suo delirio idrofobo di oltre 8 minuti, ma proseguiamo… egli è un orfano raccolto da una tribù selvaggia dalla pelle verde, non ha un padre e una madre ed è un “bambino di tutti” in un mondo denso di moltissimi popoli i quali non si capiscono l’un l’altro a causa di lingue estremamente diverse, ma che tutti insieme conoscono l’idioma “alto fantasico”, con il quale possono comunque intendersi e comunicare. Insomma per Saviano quello di Fantàsia sarebbe un mondo multietnico e globalizzato, dove non è affatto un problema non crescere in una famiglia tradizionale, e dove la fantasia può tutto: essa innesca il moto e la realtà segue, modificandosi a piacimento del pensante. Insomma, pare il paradiso dei progressisti.
Ma se è tutto così paradisiaco, come mai questo stesso mondo sta a un tratto per scomparire inghiottito dal Nulla? La malattia misteriosa della Infanta Imperatrice è il contagio di quel nichilismo materialista rappresentato dalla forza divoratrice del lupo Mork, che scaturisce dalla sopravvenuta incapacità dell’uomo di usare la fantasia, ovvero di saper abbracciare il mondo nella sua dimensione integrale di spirito e materia, riducendolo invece appunto solo alla seconda, e per giunta con la pretesa di manipolarlo a sua discrezione indisturbato, così di fatto falsificandolo e trasformandolo esso tutto in menzogna. Saviano sostiene di conoscere oltre all’opera in questione anche la biografia di Ende, ma qui se non mente del tutto, quantomeno omette con cura di ricordare gli eventi che lo coinvolsero dal dopoguerra in avanti – forse gli piacevano meno, o non erano funzionali alla sua narrazione.
Per carità, Mork sarà anche ispirato ai “Cani alla catena”, corpo militare nazista specializzato nelle caccia ai disertori, ma Ende scrive alla fine degli anni 70′, e l’oggetto della sua critica non sono, o per lo meno non sono solo i totalitarismi passati, ma anche quelli ideologici da cui sono stati contagiati i suoi contemporanei. Ende, infatti, pur dopo aver rischiato la vita opponendosi al nazismo, negli anni 60′ fu costantemente attaccato dalla sinistra radicale extraparlamentare tedesca che lo chiamava “fascista” e lo accusava di alienare i giovani dalla “lotta” con delle fantasticherie.
Lo colpevolizzavano per non essere abbastanza “impegnato”, per essere insomma proprio lui un disertore, con ciò rivelandosi sullo stesso piano di quei cagnacci nazisti che lo stesso Ende aveva deplorato ai tempi della guerra. Egli peraltro si sentiva specialmente, dolorosamente tradito dall’ostracismo dei salotti progressisti in quanto si era sempre professato di sinistra – come Cacciari, Barbero e Agamben, che oggi conoscono simili morsi “amici” – ma ciò non era bastato a salvarlo dagli ex compagni di penna, tanto che alla fine la violenza nei suoi confronti raggiunse una veemenza tale da fargli scegliere un volontario esilio in Italia. Nel 1971 si trasferì quindi a Genzano di Roma, dove visse con la moglie fino alla morte nel 1995, scrisse il celebre “Momo” (che condanna a chiare lettere i miti del capitalismo e dell’ateismo) e infine “The Neverending Story”, pubblicato nel 1979 – il suo capolavoro e testamento intellettuale e artistico.
Per lo scrittore tedesco il grande male del dopoguerra risiede proprio nella pretesa dell’uomo – usiamo qui le sue stesse parole – di «vedere tutto in un’ottica socialmente e politicamente critica» che lo dirotta verso «un’aspirazione di negatività, ira, amarezza e oscurità». Si tratta di un evidente attacco al materialismo neomarxista propugnato dalla sinistra radicale, lo stesso che lo spinse a lasciare la sua patria con disgusto. Egli attribuisce all’arte proprio la missione e il destino salvifico di «restituire al mondo il suo segreto sacro e all’uomo la sua dignità».

Ridurre la sua opera a un annacquato umanitarismo global-socialista non solo è patetico, triste e riduttivo, ma anche del tutto fuorviante, quando non una brutale mistificazione. Ende mantenne sempre posizioni vicine ad un vago teosofismo, e non fu mai cristiano, quindi sarebbe errato attribuirgli una fede confessionale tradizionale – lasciamo ad altri i giochetti di manipolazione della storia e delle idee altrui – eppure intuiva e percepiva nel profondo una spiritualità radicata nel comune sentire degli uomini, che vedeva evaporare nel contesto di una società sempre più materialistica e secolarizzata.
Dovrebbe essere quindi ben chiaro a Saviano a questo punto quali fossero gli odiatori che aveva in mente Ende quando scriveva il suo romanzo: personaggi probabilmente molto simili a lui per estrazione culturale e attitudine. A differenza di Saviano, però, pur avendo fatto esperienza del dramma sanguinoso della guerra e del nazismo in prima persona, Ende non viveva nel passato, vedendo nazisti e fascisti ovunque, ma era tormentato nel suo essere testimone di un presente in balia delle manie dei radical-progressisti, e perciò si angustiava per il cupo futuro dell’uomo, nel quale vedeva smarrita ogni inclinazione alla fantasia e allo spirito – è questa la sua denuncia, semmai, e quando scrive, lo fa anche e forse soprattutto contro il pensiero unico omologante, in altre parole contro i “Saviano” del suo tempo. “Ende per tutta la vita antifascista”, afferma in video il nostro intellettò.
Qui però almeno per una volta ha ragione. Il suo problema in effetti fu proprio che quando molti cambiarono la casacca da nera a rossa, Michael Ende rimase fedele alla sua natura e alle sue convinzioni – restando appunto antifascista e antinazista – e procedette così a pagarne il prezzo con l’esilio. Da questo suo disertare la leva obbligatoria della militanza politica, per fortuna sua e nostra, scaturì un’opera stupenda e ispirante come La Storia Infinita, che è patrimonio di tutti, e oggi nessuno deve chiedere il permesso a qualche pseudo-intellettuale radical-chic per farla propria e tenerla vicina al cuore, che esso batta a destra o a sinistra
Insomma, in definitiva non c’è alcun bisogno di “liberare” Atreju. Egli è già “figlio di tutti” nella misura in cui alberga entro ognuno di noi, e rappresenta la possibilità di un risveglio spirituale, di una rinascita per l’umanità tutta. Liberate semmai Saviano, che fedele solo al suo ormai pubblicamente rivendicato (e costoso) “diritto di odiare” ringhia e sbava alla catena della sua ideologia, ma non azzanna ormai altro che la sua povera coda.