L’episodio ormai noto alle cronache avvenuto al liceo milanese Bottoni, che qui si richiama, riassume in sé aspetti emblematici di ciò che è diventata la scuola. La quale peraltro, non essendo un comparto impermeabile della società, riflette a sua volta i sommovimenti e le derive di quest’ultima. Il professor Martino Mora si è trovato così di fronte a due tipi di avversità, entrambe molto più forti di lui. La prima costituita dal profondo degrado dell’istituzione, degrado multiforme e annoso, che ha trovato di recente una convincente illustrazione nel libro-denuncia di
Paola Mastrocola e Luca Ricolfi “Il danno scolastico – la scuola progressista come macchina della disuguaglianza” al quale ci permettiamo di rimandare.
La seconda costituita dall’ attuale Zeitgeist, quello “spirito del tempo” caro alla filosofia ottocentesca che nella sua declinazione odierna apprezza e approva ogni comportamento anomalo e provocatorio, e lo fa con tanta insistenza e con tale dispiegamento di mezzi mediatici che ciò che ieri era aberrazione oggi appare normalità. Dunque il travestimento femminile di tre studenti del professore si può collocare nell’uno e nell’altro trend, mentre devono essere identificate come segni dei tempi le reazioni sdegnate delle associazioni gay che hanno letteralmente crocifisso il docente. Peraltro tali reazioni sono il prodotto di un mero equivoco o di una palla presa interessatamente al balzo, poiché il professore non ha stigmatizzato i tre giocherelloni in nome del principio dell’identità sessuale, ma di quel decoro che si addice all’istituzione-scuola e a chi la frequenta.
Dunque il prof Martino Mora, uomo di valori non transeunti e non commerciabili, non tollera la mascherata, si reca dalla sua Dirigente scolastica e le rappresenta che, se lo spettacolo non avrà fine, egli non farà lezione, pur rimanendo disponibile in sala professori. E qui nasce il casus belli: la dirigente prof.ssa Giovanna Mezzatesta, tutt’ altro che incline ad assecondare il docente, gli ingiunge di tornare in classe e fare lezione, altrimenti – sono a quanto sembra le testuali parole – lo caccerà via dalla scuola.
Detto fatto il docente di Filosofia se ne va, con i suoi libri, la sua schiena dritta, e, immaginiamo, un misto di amarezza e di orgoglio nel cuore. E a noi non resta che chiederci se la scuola debba essere teatro di pagliacciate quali quella che ha provocato il disagio e l’indignazione del docente, o se ad essa si confacciano comportamenti più misurati. Ci chiediamo anche se gli studenti (si fa per dire) che ora si rifiutano di entrare in classe durante le ore di Filosofia e bivaccano nel corridoio chiedendo l’allontanamento del professore dal suo liceo non meritino – essi sì – qualche salutare provvedimento piuttosto che il plauso che la grande stampa sta loro riservando. E infine se le norme che regolano il procedimento disciplinare nella scuola prevedano l’ allontanamento dall’ edificio scolastico ad nutum del dirigente o se sia prevista per il destinatario di tale procedimento una qualche forma di contraddittorio e di tutela.
Ma già, quello che un tempo si chi chiamava Preside ora si chiama per l’appunto Dirigente Scolastico: che anche questo abbia a che fare col caso del professor Martino Mora?