Follie della rete. Secondo il Daily Mirror, per uno stupido sbaglio — fortuito o intenzionale? — l’intero sistema di difesa britannico delle Isole Falkland/Malvinas (o viceversa, a seconda delle simpatie) sarebbe finito su internet proprio sul sito del ministero della Difesa britannico, causando una breccia nel complesso militare dell’arcipelago conteso tra Gran Bretagna e Argentina
Secondo il quotidiano albionico, sugli schermi sono apparsi improvvisamente materiali che descrivono con minuzia l’esatta collocazione di postazioni militari, la consistenza del cemento delle difese statiche e le coordinate Gps di bunker, centri comando e depositi di munizioni. Insomma, “praticamente un manuale per la perfetta invasione”. Il tutto a soli dieci giorni dalla notizia che l’Argentina programma una nuova invasione delle desolate ma ambite isolette. Dopo la rituale pioggia di smentite — più o meno imbarazzate — il link al documento incriminato non è più attivo. Meglio tardi che mai. Piccoli war games (virtuali, fortunatamente) tra Londra o Buenos Aires.
Ma di là del patriottismo britannico (sull’arcipelago l’Union jack sventola dal 1765) e del revanscismo argentino, perchè questo remoto possedimento di Sua Maestà eccita i governi e inquieta gli Stati maggiori? Cosa importa oggi a Londra delle Falkland, uno sperduto microcosmo, abitato da tremila persone (per lo più discendenti di coloni scozzesi), 1.250 militari e mezzo milione di pecore.
L’unica risposta possibile è il denaro. O meglio, l’energia. La risposta — quella vera — si trova nei giacimenti di petrolio e gas individuati a 170 chilometri a nord delle isolette. Un tesoro che potrebbe essere estremamente vantaggioso (si stima un valore potenziale di miliardi di sterline) e rendere per la prima volta redditizio per il Regno Unito il controllo delle strategiche — chiave dell’Atlantico meridionale e tomba nel 1914 della squadra tedesca di von Spee — ma poverissime Falkland. L’oro nero interessa — ovviamente — anche a Buenos Aires. Il governo argentino — con molto rumore e, sino ad oggi, poca credibilità — ha dichiarato che perseguirà le compagnie petrolifere britanniche che operano nell’area, poichè colpevoli di perforazioni “illegali” in un territorio rivendicato da Buenos Aires. Retorica. Per il momento.
In ogni caso, con l’usuale pragmatismo e avidità, dieci giorni fa il governo Cameron ha annunciato uno stanziamento di 280 milioni di euro per potenziare nell’arco di 10 anni le difese dell’arcipelago in considerazione di “qualsiasi possibile minaccia”. Ad oggi la guarnigione britannica è di circa 1.200 soldati con 4 cacciabombardieri Typhoon, batterie antiaeree, elicotteri, navi pattuglia e un battaglione di fanteria con componenti blindate e di artiglieria. “Riteniamo che sia ampiamente proporzionata – ha affermato il Ministro della difesa Micheal Fallon – per le minacce e i rischi che ci troviamo costretti ad affrontare. Le nostre forze nel Sud Atlantico – ha aggiunto – sono ai livelli richiesti per la difesa dell’arcipelago contro ogni potenziale minaccia. Comunque, ho autorizzato una serie di misure per garantire la nostra permanenza e breve, medio e lungo termine sulle isole”. Insomma, altri soldati, altri mezzi, altre navi. Altri soldi.
Ancora una volta perchè? Ad oggi la repubblica americana è un paese immiserito, povero e le sue forze armate sono deboli. Fragili. L’aeronautica — il ferro di lancia della difesa argentina — è formata dagli stessi aerei che combatterono la guerra del 1982: dei rottami volanti.
Una risposta però c’è. Per una volta, nel contenzioso anglo-argentino Buenos Aires non è più isolata. Mentre Londra — in silenzio ma con determinazione — si rafforza sul lontano arcipelago vi sono le premesse per un’inedita alleanza Mosca- Buenos Aires. Non è fantapolitica, ma realtà. Le ragioni di questo strano avvicinamento sono nel Mar Nero. La Crimea.
Nel gioco globale apertosi dopo il distacco della penisola dall’Ucraina e le dichiarazioni ostili di Cameron, pochi notarono la netta presa di posizione della presidente argentina Cristina Kirchner a favore di Vladimir Putin: “Le Malvinas sono sempre appartenute all’Argentina, allo stesso modo in cui la Crimea apparteneva all’Unione Sovietica prima di essere donata all’Ucraina”. Le rispose subito il presidente della Commissione esteri della Duma, Alekei Pushkov: “Londra, attenzione, la Crimea ha molte più ragioni di essere in Russia che non le Falklands di far parte della Gran Bretagna”. Altri esponenti politici russi denunciavano prontamente “l’occupazione coloniale” delle isole, definite la “Crimea dell’Atlantico”.
Qualche settimana più tardi, Putin — imbarazzando Londra, ostinatamente filo americana e rifugio dei magnati ostili al Cremlino — mise definitivamente in discussione la legittimità della sovranità britannica sulle isole e promise agli argentini armamenti finalmente moderni (soprattutto 12 temibili bombardieri Sukoi-24 e altri “giocattoli” micidiali). Una mossa decisiva che la Gran Bretagna ha registrato. Da qui il riarmo delle isolette e le preoccupazioni sulla fuga di notizie sul sistema di difesa.
Per il momento per Mosca si tratta di ottimi contratti commerciali strappati in un’area storicamente anglo-americana, ma presto le prime forniture militari sbarcheranno sui moli di Buenos Aires e i piloti argentini iniziano già ad addestrarsi in Russia. Nell’Atlantico meridionale i giochi sono aperti.