Gli scienziati hanno finalmente confermato che i fossili di Australopithecus, trovati 10 anni fa a Malapa in Sud Africa, sono l’”anello mancante” nell’albero genealogico dell’umanità. Questi fossili hanno alimentato il dibattito scientifico da quando sono stati trovati, ma ora è confermato che rappresentano una specie di ponte tra i primi umani e i loro predecessori, a dimostrazione del fatto che gli umani primitivi si arrampicavano sugli alberi spostandosi così già 2 milioni di anni fa.
Il sito di Malapa, è stato scoperto per caso dal figlio di 9 anni del famoso paleontologo, Lee Rogers Berger, mentre inseguiva il suo cane, un bel colpo di fortuna che ha portato alla scoperta – dettagliata nella rivista “Paleoantropologia”- dei reperti archeologici. I risultati aiutano a colmare una lacuna nella storia dell’umanità: dal famoso scheletro di 3 milioni di anni di Lucy e l’Homo habilis, che ha confermato l’utilizzo di strumenti tra 1,5 e 2,1 milioni di anni fa.
Mostrano che i primi umani del periodo “passavano molto tempo arrampicandosi sugli alberi, forse per cercare cibo e protezione dai predatori”, secondo lo studio sulla rivista “Paleoantropologia”.
“Questo quadro più ampio fa luce sullo stile di vita di questi primitivi e anche su una importante transizione nell’evoluzione degli ominidi”, ha affermato il ricercatore capo Scott Williams della New York University.
Due scheletri parziali di australopithecus (significa “scimmia del sud”, un genere di ominidi che visse circa 2 milioni di anni fa) – un maschio e una femmina – sono stati trovati nel 2008 in una caverna crollata a Malapa, nella “culla dell’umanità” del Sud Africa.
La loro scoperta ha innescato anni di dibattiti nella comunità scientifica, con alcuni che hanno respinto l’idea che provenissero da una specie precedentemente sconosciuta con stretti legami con l’homo e altri che facevano sospettare l’idea che provenissero da due specie diverse.
Ma la nuova ricerca ha sgomberato il campo delle diverse tesi, anzi ha delineato “numerose caratteristiche” che gli scheletri condividono con i fossili dell’homo.
Infatti le mani e i piedi dell’Australopithecus, mostrano che trascorreva molto tempo arrampicandosi sugli alberi. Le mani hanno capacità di presa, che sono più avanzate di quelle dell’Homo habilis, suggerendo che anche questo era uno dei primi utilizzatori di strumenti.
I ricercatori del documento hanno evidenziato la straordinaria storia di come sono stati trovati i fossili, sottolineando che altri importanti indizi per la storia dell’umanità sono ancora in attesa di vedere la luce del giorno.
“Il primo fossile di Au Sediba è stato scoperto da Matthew Berger, allora un bambino di nove anni, che si è fermato per esaminare la roccia su cui è inciampato mentre seguiva il suo cane Tau lontano dal pozzo Malapa”, hanno scritto.

Immaginate per un momento che Matthew sia inciampato sulla roccia e abbia continuato a seguire il suo cane senza accorgersi del fossile e quei fossili starebbero ancora lì, ancora racchiusi in sedimenti calcificati clastici, ancora in attesa di essere scoperti. Questo avvenimento, anche dettato da una coincidenza, dovrebbe ricordarci che c’è ancora tanto da scoprire sul nostro passato evolutivo.
Mah, sul serio? Eppure, le teorie evoluzioniste non hanno ancora avuto una conferma veramente “scientifica”. Sono congetture, adottate per comodità dalla maggioranza conformista degli “scienziati”. Spiacente, io sto con il professor Giuseppe Sermonti (“Dimenticare Darwin” e altri suoi testi) e molti altri scienziati (genetisti, biologi, statistici e così via) scettici, e molto, sull’evoluzionismo. E poi sono cattolico e quindi antievoluzionista per definizione, dottrina e necessità. Se qualcuno mi dice: “discendiamo dalle scimmie”, la mia risposta è: “parla per te” (ma ovviamente non è vero neppure per lui).