Un paio di settimane fa parlavo delle banalizzazioni della situazione internazionale con una consulente finanziaria, donna che stimo moltissimo, assai attenta alle varie congiunture geopolitiche e alle loro conseguenze. Fra le altre cose, ha detto: c’è chi crede che la Cina stia per attaccare Taiwan, ma è una sciocchezza, i cinesi sanno che per loro sarebbe controproducente, e ponderano sempre ogni loro mossa.
Giovedì 7 aprile, il Corriere della Sera si è per l’ennesima volta aggrappato al santino di Ai Weiwei, l’artista preferito (assieme ad Abramovic, Bansky e Catellan) da chi non ha mai visto un’opera d’arte decente, già salito agli onori delle cronache per aver deturpato il fiorentino Palazzo Strozzi appendendoci dei gommoni, in solidarietà ai poveri migranti (con una certa coerenza: gli sfruttatori dell’immigrazione di massa stanno devastando l’Europa, e lui ha mostrato loro la sua simpatia imbruttendo una meraviglia rinascimentale).
Dopo averlo intervistato riguardo a Valery Gergiev, l’ex direttore della Scala silurato dal sindaco di Milano per non aver rinnegato la Russia e Putin – secondo Ai, idolatrato dai liberali occidentali per la sua dissidenza dal regime cinese, Sala ha avuto ben ragione di censurare la “dissidenza” del musicista moscovita: l’ego dell’artista concettuale gli impedisce di ammettere la legittimità di dissidenze che non siano la sua – il Corrierone gli ha chiesto un altro parere sulla situazione internazionale. Sarebbe da chiedersi perché in via Solferino non trovano interlocutori più autorevoli: Ai è scarso nel suo stesso campo – l’arte figurativa, figuriamoci in ambiti più seri. Pronta la sua risposta: l’attenzione va riportata alla Cina (e quindi all’oggetto della dissidenza di Weiwei, la sola che importi qualcosa), che presto replicherà con Taiwan ciò che la Russia sta facendo con l’Ucraina.
Non intendo con ciò dire che la consulente finanziaria sopracitata detenga la verità assoluta, e che Ai abbia per forza di cose torto. Ho comunque trovato curioso ascoltare qualcuno che prova a capire con serietà le grandi questioni mettermi in guardia da una conclusione affrettata e banale, e qualche giorno dopo leggere la stessa conclusione (affrettata e banale) riportata dal maggior quotidiano nazionale, dopo aver interrogato un artista adorato dalla peggior intellighenzia occidentale.
I gommoni appesi nel 2016 da Ai a Palazzo Strozzi erano rossi, come rosse erano le borse distribuite dalla Biennale di Venezia (il grande laboratorio di distruzione dell’arte figurativa) nel 2011, con sopra la dicitura “Free Ai Weiwei”. La canzone di Alice “Nuvole rosse” (da un album del 1986, “Park Hotel”) accenna nemmeno troppo misteriosamente a “gente incapace di osservare il mondo”. Sarà stata una coincidenza, oppure tutto torna, e “l’artista più influente del mondo” è soltanto l’ennesimo gioppino manovrato da grandi timonieri e signori degli anelli.