L’attuale questione siriana non può essere valutata nella sua complessità se non si tiene conto delle sue origini e dei legami con il resto del Vicino Oriente. La Siria faceva parte dell’Impero Turco, così come il Libano e la penisola arabica: durante la prima guerra mondiale, che aveva visto la Turchia alleata con la Germania, l’Inghilterra (che all’epoca controllava l’Egitto) cercò d’indebolire l’impero ottomano spingendo gli arabi (che popolavano le attuali Giordania, Siria e – appunto – la penisola arabica) ad attuare azioni di guerriglia contro i turchi. Strumento culturale ed operativo di quest’operazione fu il ben noto Thomas Edward Lawrence, più tardi soprannominato “d’Arabia”, il quale conosceva benissimo la zona per averla percorsa fin dal 1909 quando, dopo aver imparato l’arabo, partecipò a numerose missioni archeologiche e geografiche inglesi nella zona (che occultavano anche azioni di spionaggio).
Il comando militare inglese in Egitto si affidò quindi a lui per istigare gli arabi alla rivolta, e Lawrence entrò in amicizia con lo “sceriffo” Abdullah e suo padre Hussein, “custode” dei luoghi santi islamici della Mecca e capo della famiglia degli “haschemiti” nella penisola arabica, i quali – in cambio dell’esplicita promessa inglese di ottenere dopo la guerra l’indipendenza per i loro territori (che andavano da Aden all’attuale Giordania) – combatterono sotto la guida di Lawrence e conquistarono varie città, fino ad entrare a Damasco il 30 settembre 1918. Il comandante “militare” degli arabi hashemiti era il fratello minore di Abdullah, Feisal. Il giorno successivo, un governo provvisorio proclama Hussein “re degli Arabi”.
Ma mentre Hussein ed i suoi figli miravano (tramite Lawrence, loro amico e contatto con gli inglesi) ad una politica che avrebbe dato indipendenza agli arabi che auspicavano di unire in una federazione, da loro guidata grazie anche al prestigio di essere i custodi del luogo santo de La Mecca, nel frattempo era iniziata nella penisola arabica un’altra guerra più nascosta, quella religiosa. Ed è proprio questa guerra che è l’inizio e la causa dei turbamenti del Vicino Oriente, con riflessi sull’Europa e sugli equilibri mondiali tra le Grandi Potenze.
Trattasi della setta eretica islamica denominata “wahabita”, dal nome di un solitario predicatore Wahhab che nel settecento aveva iniziato a criticare il comportamento dei suoi correligionari, guidati e governati dalla dinastia haschemita, i quali avrebbero trascurato alcune norme del Corano che secondo lui si basavano più sulle interpretazioni di vari giuristi che sulla lettura integrale e letterale del Corano. In altri termini, i wahhabiti volevano – come i cristiani puritani inglesi – il ritorno alla “purezza originaria” dell’Islam ed all’applicazione integrale della legge islamica, la cosiddetta “sharia” e consideravano gli hashemiti “eretici e corrotti” perché non l’applicavano alla lettera.
Wahhab trovò ospitalità e sostegno nella tribù della famiglia dei Saud i quali nel 1917/1918, approfittando della guerra, avviarono una guerriglia contro i soldati della famiglia haschemita (rimasti peraltro in un numero ridotto, vista la guerra che stavano conducendo contro i turchi) che si concluse il mese di gennaio 1925 quando la famiglia hashemita è costretta a lasciare La Mecca attaccata ed occupata dai sauditi. Da notare che gli hashemiti avevano chiesto aiuto agli inglesi, che all’epoca dominavano in quell’area: ma Londra (con il ministro Churchill) risponde che “la disputa è causata da motivi religiosi e l’Inghilterra non s’immischia in affari di questo genere”. I sauditi conquistano quindi La Mecca e tutta l’Arabia (che da allora sarà chiamata appunto “saudita”) e compiono atti di distruzione “contro l’eresia”: spogliano le moschee dagli arredi lussuosi, fracassano gli ornamenti sacrileghi (per loro), profanano e distruggono le tombe dei “marabut” (i santi nella cultura islamica) ed avviano il loro governo integralista religioso che si perpetua ancor oggi, con le restrizioni alle donne, la punizione dei reati “religiosi” tramite un’apposita polizia, la proibizione di qualsiasi tipo di alcool, la pena di morte, la fustigazione, e via dicendo.
La resistenza dell’ultimo “sceriffo” hashemita, Alì (un altro figlio di Hussein, riparato in Irak) durerà fino a dicembre 1925 a Gedda, ma alla fine – non ricevendo aiuti dagli inglesi, che pur essi avevano aiutato nel corso della guerra contro i turchi e da cui avevano ricevuto promesse esplicite – si arrende e si rifugia a Bagdad, dove nel frattempo suo fratello Feisal, l’uomo della conquista di Damasco, era diventato re.
In tutta questa vicenda, Lawrence non ha cessato di premere sul governo (in particolare su Churchill, di cui era divenuto consigliere ed anche in parte amico) affinché aiutasse Alì e gli hashemiti: innanzitutto per l’aiuto avuto durante la guerra e le promesse fattegli, poi perché temeva – conoscendo bene il mondo arabo e l’islamismo – l’ascesa dei Sauditi. Ma Philby, il rappresentante del governo in quei territori arabi, non è di questo parere e firma un accordo con Ibn Saud. Non è escluso che una delle motivazioni principali sia stata la questione del petrolio perchè i geologi inglesi avevano scoperto nel territorio arabo enormi giacimenti: pertanto, fu lasciato campo libero ai sauditi in cambio della concessione di estrazione nei giacimenti. In cambio, agli hascemiti fu concesso il minuscolo regno della Giordania, il cui primo re fu l’Abdullah amico di Lawrence, con capitale Gerusalemme: ma quella città ed il territorio giordano furono ulteriormente assottigliati dalle conquiste militari israeliane. L’attuale re di Giordania, Abdullah II, discende da quella famiglia, costretta all’esilio dalla rivolta di Ibn Saud e dall’abbandono inglese.
Lawrence, avvilito e tradito dai suoi compatrioti, si arruola come aviere semplice nell’Aeronautica inglese (RAF) che lo inviò in India, per tenerlo lontano dalla penisola araba: da qui, scrisse ad un amico, conoscendo i fatti che si stavano svolgendo ed il tradimento nei confronti dei suoi amici, oltre che alleati, “la mia vita qui è solo un agonia”, ma dopo pochi mesi pubblicherà la sua opera “I sette pilastri della saggezza”. Però ciò aumenterà le critiche dell’”establishment” inglese contro di lui che rimane sempre più isolato e, dopo alterne vicende, morirà il 19 maggio 1935 per un incidente motociclistico.
Tutta questa storia ha una certa importanza perché la forza dell’Arabia Saudita, consistente nelle enormi ricchezze derivanti dal petrolio, ha trasformato quel Paese nella centrale (o nel “santuario”, per dirla nei termini della guerra rivoluzionaria) di tutto l’integralismo islamico che sta travagliando il Vicino Oriente, dalla Libia all’Egitto con i “Fratelli Musulmani”, dall’Afghanistan con i “talebani” a Gaza con Hamas. Ora sta tentando di conquistare la Siria, con i suoi mercenari armati e con il sostegno – non si sa se definire più stupido o criminale – degli Usa e di altri Paesi europei.
Se i Sauditi non avessero preso il potere in Arabia nel 1925, se il governo inglese avesse ascoltato Lawrence, l’unico vero esperto e conoscitore dell’Arabia e dei suoi popoli, forse la storia del Vicino Oriente sarebbe stata diversa e non ci troveremmo periodicamente dinanzi a situazioni di guerra o di rivolta armata come è ormai costante degli ultimi decenni.