Le due o tre immagini sopportate dai telegiornali sulla Camera in occasione del dibattito sulle sedicenti “riforme costituzionali” risultano a dir agghiaccianti e dovrebbero stimolare alla riflessione e ad un onesto bilancio tutti i cittadini.
Il governo, con il suo portavoce Renzi, è riuscito a realizzare, dopo molti decenni, il proposito di Mussolini: ha trasformato “l’aula sorda e grigia in un bivacco di manipoli”. I deputati si sono ripartiti in quelli abusivi, secondo la sentenza della Corte costituzionale, in quelli di recente acquisizione, eletti in schieramenti politici opposti e quindi di morale cangiante, ed in quelli, preoccupati di conservare, con il loro asservimento, il seggio grazie all’”Italicum” varato dalla diarchia Renzi – Berlusconi.
Terrificanti sulla vitalità della nostra democrazia i vuoti apparsi nel grande ambiente, durante in un dibattito, che in tempi civili sarebbe stato ragione di confronti aspri ma franchi, vissuti e non pilotati e prefabbricati in un clima degno di Cuba, del Venezuela, della Corea del Nord o di quale repubblica delle banane.
Per un miracolo il ringraziamento va rivolto alle opposizioni, capaci con il loro rifiuto (M5S ha opportunamente sostenuto di non volersi “sporcare le mani”) di rendere plastica e tangibile il totale rifiuto contro una riforma inutile, confusa e pasticciata (il “Corriere della Sera” ha fatto presente che “manca ora la legge che deciderà come le Regioni selezioneranno i loro rappresentanti”), che sottrarrà, essendo indiretta, ulteriore potere di selezione, dopo le liste bloccate, ai cittadini.
Unico rimedio è quello di una piena, corale e convinta (anche con Berlusconi?) mobilitazione, pena la fine del nostro sistema e l’avvento del malefico e velenoso “Partito della Nazione”, egemonizzato dai poteri forti.
Colui che, senza esserlo, è considerato il “presidente del Consiglio”, ha definito, con la solita, trita banalità, la “giornata storica”, perché quello è il copione previsto, senza pensare o meglio senza sapere che nella storia, quella vera, sono esistite, forse più frequenti, “giornate storiche” infauste.
Il voto ha aperto la strada, che auspichiamo interrotta tra pochi mesi, alla soluzione peggiore tra le tre possibili. Ammesso per assurdo che la riforma fosse impettente e vitale per gli interessi nazionali, si poteva – demagogia per demagogia – ridimensionare il numero dei parlamentari, sopprimendo con effetto immediato i senatori a vita, a partire dal novantunenne Napolitano, con uno stipendio, come quello dei colleghi della Camera, congruamente ridotto e destinato ad un “contributo di solidarietà”, si poteva arrivare alla eliminazione della plurisecolare istituzione varata nello Statuto albertino del 1848, oppure, come ha segnalato con un lungo e servile articolo, tutto solo e luce, un quotidiano del trust, quello della Conferenza episcopale, partorire questo “rinnovamento”.
“Avvenire” ha involontariamente reclamizzato l’autore di questa campagna pubblicitaria (i geniali ispiratori non saranno davvero Renzi o la Boschi) , il guru della prima campagna di Obama, tale Jim Messina. Il consulente ha posto ai suoi ordini, come avviene dal 1943 ad oggi per gli Usa verso l’Italia, “più di una volta” parlamentari, dirigenti e uomini comunicazioni dem, coniando e dettando slogans, da una opposizione motivata ed organizzata ridicolizzati in un baleno, a partire dall’affermazione posta in bocca al giovanotto toscano: l’affossamento della riforma “avrebbe conseguenze drammatiche” per il paese. Infatti il FMI, ignorando i salvifici contenuti della misura in arrivo, ha “gelato l’Italia”, segnalando una crescita “ancora bassa” ed un Pil appena all’1%. Sia il primo dato quanto il secondo dato appaiono, una volta rispettati gli ordini di Messina, proiettati sulle 4 o 5 cifre assolute, senza decimali.
Doverose espressioni di sostegno per la Meloni, fatta oggetto di pesanti critiche, al limite dell’intimidazione, secondo “Il Tempo”, da parte di Berlusconi, intenzionato a rivolgere il proprio meschino favore all’ex editore dell’”Unità” ed ex candidato alle primarie del PD.