Di recente ho letto, su un autorevole quotidiano, una intera pagina a cura della giornalista, signora Maria Cristina Ceresa, dal titolo “La rinascita dei borghi parte dalla connessione, non solo digitale” e che merita qualche riflessione. Nel 2005 Legambiente inizia, a mia memoria, ad occuparsi dei borghi e dei piccoli paesi e organizza un convegno dal titolo emblematico “Paesi Fantasma. Territori nascosti dell’Italia minore”. Dal convegno emerse all’epoca che i borghi e i piccoli comuni a rischio abbandono o peggio ancora, a rischio estinzione, erano 5.308.
Non sono in possesso dei dati aggiornati ma credo che il numero che viene ricordato è già di per se allarmante. La giornalista con la sua pagina mi allarma ancora di più. Non si può scrivere della grande ricchezza della rinascita dei borghi e dei piccoli paesi, “partendo dalla connessione, non solo digitale” e poi, come riportato nel sottotitolo pensare che, “la pandemia ha rilanciato il recupero dei territori: per smart working, ma anche per turismo all’insegna della sostenibilità”.
I borghi e i piccoli paesi in Italia come nel resto d’Europa sono ben altro e molto di più e in questa fase storica non hanno certo bisogno, come priorità, la connessione digitale o lo smart working in aree senza abitanti, o con pochi abitanti la cui età media risulta molto avanzata ed hanno un tasso di scolarità basso se non addirittura molto basso. Il 55% del territorio italiano è rappresentato dai piccoli comuni con meno di 5.000 abitanti e ci vivono oltre 10 milioni di abitanti. L’insieme dei piccoli centri in Italia è pari a 5.835 comuni e costituiscono il 72% degli oltre 8.000 comuni.
“Questi 5.835 piccoli centri non solo svolgono un’opera insostituibile di presidio e cura del territorio, ma sono portatori di cultura, saperi e tradizioni, oltre che fucine di sperimentazione e di fattori di coesione sociale. Una costellazione solo apparentemente minore, che brilla per la straordinaria varietà ambientale e per l’inestimabile patrimonio artistico custodito. Ricchezze ad oggi poco note e perciò da valorizzare”.

L’esodo dello spopolamento dei borghi e dei piccoli paesi ebbe inizio negli anni cinquanta e, forse non ce ne rendiamo conto, continua inarrestabile anche a causa della inerzia della stragrande maggioranza degli Enti locali e delle Regioni e a causa anche di molti altri fattori tra cui la mancanza di servizi essenziali adeguati, della cura del territorio, della cura dell’ambiente. La crescita interminabile della globalizzazione fa apparire i residenti nei borghi o nei piccoli paesi come dei sottosviluppati o peggio ancora degli alieni rispetto a coloro che vivono nei centri urbani. Il ripopolamento di alcuni piccoli paesi in realtà, sta avvenendo grazie ai forti ed incontrollati flussi migratori ma questa è tutta un’altra storia.
Dopo 16 anni trascorsi da quel prezioso convegno poco o nulla è stato fatto, nonostante esista una legge, la n°158 del 6 ottobre 2017 che prevede “misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni , nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni”. In particolare, non è stato fatto nulla dalle Province, dalle Regioni dai tanti soggetti pubblici. Quelle poche cose che hanno fatto, sono state realizzate navigando a vista, cioè senza un progetto o più progetti che potessero raggiungere degli obiettivi duraturi ed omnicomprensivi. I soggetti privati come gli imprenditori, i mecenati, i commercianti, i produttori di prodotti locali , i giovani, le istituzioni minori e gli stessi cittadini che ancora vivono in quelle località , non sono stati mai coinvolti.
Ricordo con amarezza che, appena lessi gli atti di quel convegno mi rivolsi, ingenuamente, ad un’amministrazione provinciale di un capoluogo di Provincia del Lazio affinché facesse propri quegli atti e prendesse, con le risorse che allora potevano rendersi disponibili , dei provvedimenti e predisponesse e approvasse un piano provinciale a favore di alcuni piccoli comuni di quella provincia che erano coinvolti nel processo di abbandono o a rischio di estinzione. Nulla fu fatto. Eppure i piccoli paesi a rischio abbandono, in quella Provincia sono numerosi e sono ricchi di storia, di arte, di paesaggi dalla bellezza da far invidia al mondo intero, di prodotti locali, alcuni dei quali, addirittura riconosciuti dall’Europa come prodotti DOP e IGP.
Oggi, a causa della pandemia da Covid 19, secondo l’antico stile Italico, si ritorna, in piena emergenza pandemica, sull’argomento senza un progetto o più progetti, vista la specificità delle migliaia di piccoli nostri comuni o borghi, senza uno studio compiuto sulle singole realtà che costituiscono un patrimonio inestimabile per l’Italia. Duole dover leggere certi articoli, su autorevoli quotidiani, privi di una visione ampia e non complessa, bensì ricca della problematica.
Spero, mi auguro, che a qualcuno non venga in mente di stanziare qualche “bonus” a favore delle migliaia dei nostri piccoli paesi o borghi e dei suoi abitanti o a favore di qualche famiglia, come, fortunatamente in pochi, in buona fede, hanno già provveduto a fare, magari giustamente preoccupati dal rischio concreto di dover chiudere per sempre un territorio che amministra ma cominci seriamente a progettare un piano di ripopolamento e completi quel piano nel più breve tempo possibile.
“Occorre evitare, come l’esperienza insegna, logiche di distribuzione a pioggia delle risorse in grado solo di accontentare una moltitudine di interessi particolari”. E’ necessario avere una visione comunitaria. “Nel processo di riqualificazione dei borghi ricopre un ruolo strategico il recupero e la riqualificazione del patrimonio immobiliare, non solo a fini turistici, ma , più in generale , nella visione di rendere più sicure le abitazioni di chi ci abita e, in un’ottica di ripopolamento, di chi deciderà di trasferirsi”.(ANCE – I BORGHI D’ITALIA . Dalla visione alla rigenerazione, Roma 15 dicembre 2017 ).
Come si può parlare di ripopolare i borghi e i piccoli paesi abbandonati da decenni o addirittura da secoli a causa di eventi tragici naturali come i terremoti, iniziando della fibra ottica? Come non si può non pensare di dare la priorità a ricostruire le abitazioni crollate a rimettere in sicurezza quelle prive di manutenzione da decenni e quindi ammalorate, nel pieno rispetto delle norme anti sismiche? Come non pensare di programmare e quindi offrire servizi primari come l’apertura di un deposito per i farmaci? Pensare ad una farmacia sarebbe eccessivo ed eccessivamente costoso per i farmacisti almeno nella prima fase.
Forse occupandoci dei borghi e dei piccoli comuni potremmo educare milioni di nostri connazionali all’uso dell’energia alternativa nella totalità di quei territori. Energia necessaria, in una seconda fase, all’utilizzo anche della connessione, del wi-fi, dello smart working. Come non si può pensare di programmare ad assegnare ad un medico di base, che con spirito di sacrificio, attraverso incentivi, abbia voglia di recarsi in quei borghi, in quei paesi almeno una volta a settimana salvo le urgenze per prendersi cura di poche decine o centinaia di abitanti che vi risiedono e magari incentivarli a trasferirsi con le proprie famiglie in quei borghi e in quei piccoli paesi?
Pensiamo a studiare il territorio per individuare le numerose criticità e i numerosi rischi per le persone e le cose e che debbono essere rimossi. Uno per tutti la messa in sicurezza dal rischio idrogeologico, una delle priorità ma ce ne sono una molteplicità. Dovremmo inoltre programmare e quindi garantire una mobilità sostenibile, con strade che andranno messe in sicurezza e renderle percorribili, favorire la produzione e il commercio di prodotti locali. Vogliamo pensare che forse è necessario, attraverso uno studio puntuale, quanti giovani con figli in età pre scolare sarebbero disposti a trasferirsi e pensare di conseguenza ad aprire gli asili di infanzia?

La Francia conta oltre 36 mila comuni, oltre quattro volte il numero dei comuni italiani di cui circa la metà rientra tra i piccoli comuni e borghi. Parliamo della c.d. “Francia profonda” dove nel 2015 è stato creato un Comitato interministeriale rurale (permanente pertanto) presso la Presidenza della Repubblica. Il Comitato ha predisposto il Piano “Nos Ruralités” fissando i risultati della strategia che il Comitato stesso ha delineato. Inoltre hanno costituito i c.d. Contratti di ruralità della durata di sei anni e che possono essere rivisti trascorsi i primi tre anni. Per i contratti di ruralità sono stati stanziati, dal 2016, un investimento di 216 milioni di euro e che offrono 67 linee di azione tra cui anche la banda larga, telefonia mobile, wi-fi in quei luoghi ove si rivelino utili e fruibili. Le linee di azione, in Francia, riguardano numerose proposte che vengono individuate e scelte a seconda delle specificità dei singoli borghi o dei singoli piccoli comuni. Esse spaziano dall’offerta educativa di qualità allo sviluppo di contratti di strutturazione di poli turistici, dai prestiti a tasso zero per la ristrutturazione prima casa e rinnovazione di 120.000 abitazioni degradate, alla creazione di imprese per favorire il commercio. Il primo obiettivo che i vari attori pubblici e privati si sono promessi di raggiungere è quello di lavorare in simbiosi, coordinandosi tra loro in una visione e in una strategia unitaria.
Purtroppo quello che non succede in Italia dove ancora si procede con modelli autoreferenziali che, come abbiamo potuto constatare non hanno portato, salvo rare eccezioni, a dei buoni risultati. In Italia esiste il Piano strategico di Sviluppo del Turismo per il quinquennio 2017-2022. Il quinquennio sta per scadere ma nessuno ne ha mai sentito parlare e il fallimento di quel Piano è evidente per gli addetti ai lavori. Infatti il fallimento di quel Piano non è sotto gli occhi di tutti per il semplice fatto che nessuno lo conosce ad iniziare dai turisti o sarebbe più appropriato definirli, in questo caso, dai viaggiatori. Le Istituzioni dovrebbero concentrarsi e far emergere, in maniera permanente quello che viene definito il museo diffuso; un enorme patrimonio dell’Italia che non è conosciuto ancora come meta turistica.
Sembra banale ma purtroppo le associazioni locali, le agenzie di viaggio, le pro loco, i giovani laureati in storia dell’arte e tanti altri soggetti non sono stati coinvolti. Non sono state dati incentivi, borse di studi. In parole povere non si è creato il “sistema”. Abbiamo una grave carenza di lavoro accentuatasi con il Covid 19. Quale migliore occasione per rimettere in moto la macchina almeno per poterla fare arrivare in quei borghi e in quei piccoli paesi? Siamo in attesa, anche in questo caso, che l’Europa ci offra le risorse necessarie per far ripartire l’economia. Nel frattempo possiamo pensare per una volta che siamo in grado di farcela, almeno in parte, anche da soli?