Il nuovo anno in Somalia si è aperto con interessanti novità – soprattutto in prospettiva – sul piano militare: l’offensiva lanciata a dicembre dal governo di Mogadiscio contro i combattenti islamici di Al Shabaab inizia a dare i primi, evidenti risultati. In meno di tre settimane l’esercito è riuscito, al prezzo di duri scontri, a riconquistare alcune località della Somalia centrale diventate, nel corso degli anni, delle vere e proprie roccaforti dei miliziani jihadisti. Il 2 gennaio è caduta Masagawa – controllata da Al Shabaab per oltre 15 anni -, località utilizzta dall’esercito somalo come trampolino per la riconquista di Haradhere, presa dai governativi il 16 gennaio. Pochi giorni prima i jihadisti erano strati cacciati anche da Galcad, teatro il 20 gennaio di una vera e propria battaglia tra l’esercito somalo ed i miliziani di Al Shabaab che hanno provato a riprendere la città.
L’offensiva dell’esercito ha consentito alle autorità somale di recuperare al proprio controllo ampie regioni della Somalia centrale, regione dove più forte è la presa dei jihadisti. Miliziani che hanno subito duri colpi, ma sono ben lungi dall’essere debellati, come dimostrano i ripetuti attacchi “mordi e fuggi” e la campagna di attentati condotti da Al Shabaab contro siti militari e governativi. È evidente, però, che forse per la prima volta gli sforzi del governo somalo per domare l’insurrezione jihadista stiano portando a risultati concreti. Grazie anche al forte sostegno statunitense: le operazioni dell’esercito somalo, infatti, godono del supporto aereo assicurato dalla base di Camp Lemonnier di Gibuti e possono contare sul sostegno garantito da distaccamenti di forze speciali e contractors. Non secondaria, poi, la presenza dei contingenti militari dell’ATMIS, la missione dell’Unione Africana realizzata grazie alla presenza di reparti provenienti da Kenya, Etiopia, Gibuti, Uganda e Burundi.