Noi italiani esportiamo tante cose. Anche politica. In Spagna si è votato e chi fa il Governo? Chi ha perso. In Italia si è votato per Camera, Senato, città e Regioni e chi va il Governo? Chi ha (sempre o quasi) perso. Il voto spagnolo presenta oggi una destra rafforzata e, se fosse unita, maggioritaria ma chi va a guidare il Paese sono i due partiti di sinistra (socialisti e Podemos, i Cinquestelle locali) che hanno litigato come macachi fino a due ore fa e hanno perso voti e seggi. Da noi più o meno lo stesso. Gli elettori premiano le destre ma al Governo ci vanno gli Zingaretti-boys, i Renzi-boys, i Bersani-boys e i Grillo-boys che da anni gli elettori stanno prendendo a schiaffi.
E’ la democrazia parlamentare, bellezza. Il Grande Scartiloffio: chi perde vince e chi vince perde. Voilà!

Ma, al di là delle analogie fra Spagna e Italia, guardiamo meglio all’interno del voto spagnolo. Se volessimo azzardare battute (non del tutto senza senso) potremmo dire che dopo la profanazione di Francisco Franco, Pedro Sánchez, questo geniale capo socialista agghindato con abiti comprati al supermercatino sottocasa, è riuscito a esumare politicamente il neofranchismo. Con il suo disgustoso comportamente improntato al cinismo più feroce (espulso Franco dal Valle de los Caidos, vorrebbe cacciarne anche Josè Antonio Primo de Rivera e, udite udite, i benedettini che da sempre custodiscono il Monastero) ha regalato a Vox uno spazio inimmaginabile solo qualche mese fa. E Santiago Abascal Conde, il giovane leader di Vox, ha saputo occuparlo nel migliore dei modi e nei tempi più rapidi alzando alle Cortes la sua (unica) voce contro questa immonda operazione di necropolitica: tre anni fa era allo 0,5% dei consensi e ora ha portato in Parlamento oltre 50 deputati.
Tutti franchisti? Franchista Vox? No, cari signori di sinistra e cari signori di destra. Chi lo dice fa un grossolano peccato di misinformation o, se si preferisce, di dezinformatzija. Tradotto: disinformazione.
Vox non è la Falange né Fuerza Nueva; è il termometro di una febbre che attraversa la Spagna malgrado che la Spagna sia uscita da una crisi economica che nella Penisola iberica aveva assunto caratteri tutto particolari. E’ una febbre non sociale ma nazionale: aumenta la spinta unitarista dentro un Paese nel quale i separatismi (non c’è solo quello catalano) da qualche anno hanno prepotentemente rialzato la testa. La voglia di unità nazionale cresce in Spagna di pari passo con quella di separare le strade di un Paese storicamente molto composito, una spaccatura che è figlia dei Governi socialisti che ai separatisti hanno da sempre strizzato l’occhiolino con la speranza di farsi dare i voti per governare; ma è anche figlia dei Governi popolari che in nome del più flaccido moderatismo hanno lasciato correre o hanno minimizzato quel che stava avvenendo. Parlare di Unidad Nacional pareva troppo vintage, era vetero, non faceva moda. E invece no. Non era e non è così. E questo voto lo ha dimostrato: l’unità nazionale non è affatto un logoro paradigma retorico soprattutto se lo si pesa nel mondo globalizzato e nell’Europa invertebrada din oggi, per parafrasare José Ortega y Gasset.

L’altro grande sconfitto del voto è il Moderatismo. Che anche in Spagna si va sbricolando sotto i colpi di una realtà che non è velocemente cambiata.
I problemi spagnoli si stanno esasperando nel linguaggio e nelle domande ma anche nelle risposte. La via d’uscita alle questioni sul tappeto, anche in Spagna, non è più al centro. Al centro ci sono i reduci nostalgici di un brodino decomposto che nessuno ordina più. Ciudadanos è il simbolo perdente e perduto di questa mutazione che, al gran galoppo, sta investendo tutta l’Europa. Ovunque i moderati sono sconfitti: al loro posto vincono le scelte chiare e univoche, radicali, dal nord al sud del Vecchio Continente e da Ovest a Est. E le eccezioni sono sempre più rare.
In Spagna non ha perduto solamente Pablo Casado Blanco (il capetto dei liberali fatui di Ciudadanos), ha perduto anche Ínigo Errejón Galvan (che se n’era andato via da Podemos per dar vita alla lista “moderata” di Mas País) ed ha perduto pure Alberto Carlos Rivera Diáz, leader di un Partito popular che puntava al Grande Ribaltone, alla grande rivincita contro i socialisti. Rivincita che non c’è stata. I popolari hanno solamente usufruito dello spostamento a destra degli elettori, spostamento provocato dagli errori a catena dei socialisti e personalmente di Sánchez e non già da loro meriti inesistenti.
Insomma un esercito di sconfitti e un solo vincitore, Vox. Il quale deve capire che si trova fra le mani una vittoria clamorosa che non può essere un punto d’arrivo ma un solido punto di partenza per ridare una voce e un’anima alla Spagna profonda che in tutti questi anni non ha avuto gli interpreti che merita.