In questi mesi ed in questi giorni in cui la magistratura e la Corte costituzionale , con l ‘incredibile vicenda del rallentamento sulla legge elettorale, si muovono in sintonia e all’unisono, come mai avvenuto nella storia dell’Italia unita, con i gruppi di potere, tanto pesantemente sconfessati dagli italiani, giova riflettere tornando a Renzo De Felice, morto 20 anni or sono , storico tra i più importanti dell’intero XX secolo sul piano internazionale, uno dei più autentici e sicuramente il più completo del periodo fascista, tappa fondamentale, assieme alle due guerre mondiali, dell’intero Novecento.
De Felice è stato soprattutto e principalmente “bestemmiato” ed in misura nettamente più ridotta, con enormi ostacoli, pesanti censure e critiche di estrema faziosità e discriminazioni al limite dell’ assurdo, “pianto“.
Anche in occasione della ricorrenza la solennità della scomparsa non ha impedito la presenza di voci dissonanti e ancora piene di riserve, almeno rispettose sul piano scientifico, ma mosse da un’inutile baldanza interpretativa.
Nel corso del cammino scientifico e sempre di più fino all’ultimo incompleto tomo uscito postumo nel 1997, su Mussolini ed il suo regime, il corredo informativo è quanto più possibile pieno (rarissime le omissioni rimproverategli) e la lettura delle fonti aperta e mai settaria o acritica.
In occasione della ricorrenza ricostruzioni e rivisitazione opportune e misurate sono state offerte , in ordine alfabetico da Eugenio Di Rienzo, Emilio Gentile e Francesco Perfetti. Il primo riporta e rilancia la definizione dello “storico”, data da De Felice. ” Lo storico – sosteneva – non può essere unilaterale, non può negare aprioristicamente le “ragioni” una parte e far proprie quelle di un’ altra. Può contestarle, non prima, però di averle capite e valutate”. Nella “voce” dedicata a Guido Quazza, pubblicata nel recentissimo 85° volume del “Dizionario biografico dell’italiani”, la curatrice Gilda Zazzara non può non riconoscere che il libro “Resistenza e storia d’Italia” (Milano 1976), dettato da una condizionante polemica contro De Felice, pur sostenuto da un consistente successo di vendite e di recensioni, “per il suo carattere di storiografia “militante”, fu accolto anche da giudizi fortemente critici”.
Di Rienzo recupera e poi utilizza affermazioni e testimonianze, come quella di un prestigioso antifascista, Leo Valiani, il quale, sin dal 1967, riconosceva “l’impossibilità di fare storia del passato, basandosi sulla memoria appassionata dei protagonisti”. Rammenta poi , tra i tanti episodi di discriminazione , quello eloquente del rifiuto da parte dello stesso De Felice di una ulteriore collaborazione alle “voci” del “Dizionario biografico degli italiani“, dopo un intervento censorio deciso dall’allora responsabile della sezione di storia contemporanea, di nome Piero Craveri, sì, il nipote ex filia di Benedetto Croce.
Condivisibile globalmente è la linea rievocativa seguita da Emilio Gentile con la citazione di valutazioni, solo apparentemente datate, di De Felice. E’ interessante ma semplice intuizione di un fenomeno degenerativo, risultato negli anni assai più disastroso, l’avviso espresso dopo le elezioni europee del 1984, in cui appaiono i primi sintomi di una malattia del sistema e dell’ambiente, sottovalutati e ancora privi di terapia seria e convincente.
Come poi non sottoscrivere, facendolo bandiera di impegno politico, l’ammonimento di De Felice sulle disfunzioni della democrazia occidentale “denunciano oggi di più il rischio o di una demotivazione collettiva, che equivarrebbe alla fine della democrazia stessa, o di un prevalere di gruppi economici o di mero potere , che non possono che essere un ostacolo sulla via, già tanto accidentata, di una progressiva integrazione di Stati nazionali, in via di esprimere valori, tradizioni, esperienza ed energia comuni, necessarie a perpetuare una civiltà che – almeno per ora e, credo, ancora per molto tempo – è l’unica che possa farsi carico dei problemi dell’umanità“.