La storia è costellata da grandi e piccole figure, da eventi e pensieri, da uomini capaci di mutare l’andamento inerziale degli accadimenti, operando sintesi mirabili tra teoria e prassi, incidendo tanto sull’atto del cogitare che su quello prassistico del fare. Tra codeste personalità non possiamo non annoverare Napoleone, figlio della Rivoluzione, stratega e statista, imperatore dei francesi, flagello d’Europa, nonché mito romantico imperituro. Una figura divisiva, ancora oggi in grado di suscitare emozioni contrastanti, tifoserie storiografiche e, negli ultimi tempi, persino diatribe intrise del più piatto e scialbo politicismo, assolutamente prive di profondità e spessore scientifico. Napoleone non deve essere giudicato mediante categorie odierne, ma studiato con rigore metodologico, riconosciuto e ricompreso nell’epoca che gli fu propria, protetto e preservato dalle milizie iconoclaste, al soldo dell’insipienza diffusa.
Napoleone non fu un santo, ma nemmeno un demone, fu semplicemente un uomo chiamato a incarnare, per un destino insondabile e misterioso, lo spirito del mondo, seduto a cavallo, così come lo parafrasò il grande filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel.
Non fu in grado di vincere tutti i suoi avversari in battaglia, capitolando definitivamente a Waterloo, il 18 giugno 1815, subendo, infine, il triste esilio di Sant’Elena, ma riuscì, tuttavia, in un’impresa ancora più ardua, quella di domare la selva inestricabile del diritto francese, consegnando ai posteri il suo più genuino e autentico capolavoro: il celeberrimo Codice napoleonico. Una babele legislativa che fu domata in tempi rapidissimi, in poco più di tre anni, dal 14 agosto 1800 al 21 marzo 1804, “grazie alla ferma volontà del primo console e all’alto livello dei giuristi chiamati a parteciparvi” (C. Capra, Storia moderna (1492-1848), Milano, Mondadori Education S.p.A., Le Monnier Università, 2011, p. 360). Il Codice promulgato, composto di 2281 articoli, venne articolato in tre libri distinti, riguardanti: le persone; i beni e le differenti modificazioni della proprietà; i differenti modi per acquistare la proprietà (Ibidem). Grazie a questo strumento giuridico, Napoleone avrebbe conferito uniformità all’intero territorio francese, realizzando alcuni principi e valori fondamentali, quali “l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il diritto di proprietà espresso nei termini moderni del diritto a godere e disporre delle cose in modo assoluto, cioè senza più alcun vincolo di natura feudale, la piena libertà di iniziativa economica, il carattere laico dello Stato, attraverso l’affermazione della tolleranza religiosa e l’istituzione del matrimonio civile” (AA.VV., Leggere la storia. Profilo documenti storiografia. Dall’assolutismo all’età napoleonica, Milano, Le Monnier. 2007, p. 294).
Il Codice assommava in sé grandezze e fragilità, rendendolo affascinante e concretissima metafora delle molte contraddizioni dell’epoca: un tempo faticosamente avviato lungo il cammino teso a realizzare un demiurgico equilibrio tra libertà e doveri, tra pubblico e privato. È utile ricordare come “dal punto di vista tecnico-giuridico, le formulazioni del Codice realizza[ssero] una felice sintesi tra il diritto romano e il diritto consuetudinario vigente in molte parti della Francia” (C. Capra, op. cit., p. 360) e “rappresenta[ssero] un compromesso tra i principi gerarchici e autoritari derivati dalla tradizione dell’antico regime e i valori affermatisi nell’età dei Lumi e durante la Rivoluzione francese” (Ibidem).
L’ambito del diritto familiare fu, di certo, quello più ricco di oscillazioni e contraddizioni, trattando i rapporti tra coniugi, tra figli e genitori, l’eredità e le successioni, realizzando, di fatto, un’evidente commistione tra vecchio e nuovo (Cfr. ibidem), peraltro pienamente comprensibile e inquadrabile nella mentalità del tempo, ancora fortemente intrisa di un certo paternalismo rurale che sanciva la superiorità del marito e dell’uomo sui componenti femminili della famiglia.

Napoleone comprese che per costituire un impero solido e duraturo avrebbe dovuto unirlo, mediante vie di comunicazioni sicure, favorendo una pacificazione religiosa e, soprattutto, normandolo, imponendo “l’introduzione in tutti i paesi conquistati dei codici francesi” (V. Criscuolo, Napoleone, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 118). L’obiettivo sarebbe stato quello di favorire “un’evoluzione dei costumi e della società che avrebbe progressivamente rimodellato la realtà europea, fornendo il più solido fondamento all’egemonia della Francia” (Ibidem). Napoleone non agiva di certo come il buon samaritano, ma la sua opera di omologazione giuridica dell’intero territorio imperiale, ispirata al modello che fu degli antichi imperatori romani, gettò le basi per conquiste ed evoluzioni civili e sociali autenticamente significative, quali il rafforzamento della libertà di coscienza, la creazione di una classe medio-borghese moderna e intraprendente, nonché un allentamento di ogni forma vessatoria e discriminatoria nei confronti degli Ebrei (Cfr. ibidem).
Il Codice civile francese ispirò e condizionò, negli anni a seguire, anche successivamente all’avvento della Restaurazione con il Congresso di Vienna, la vita civile e politica di numerosi Paesi europei, lasciando una traccia evidente, un retrogusto inconfondibile, un solco nel terreno che richiede memoria storica e amore per la ricostruzione serena e imparziale degli eventi passati: “Il codice civile francese dovette la sua fortuna alla chiarezza e al vigore dell’enunciato oltreché alla sua aderenza ai caratteri della società uscita dalla Rivoluzione. Esso fu applicato in tutti i Paesi soggetti o vassalli dell’Impero, e anche dopo la sua caduta fu mantenuto in vigore in Francia e rimase un modello per l’elaborazione dei Codici di molti Paesi europei ed extraeuropei; il primo codice dell’Italia unita, promulgato nel 1865, ne riprendeva l’impianto generale e ne riproduceva letteralmente molti articoli, e tracce importanti ne conserva anche il Codice del 1942, tuttora vigente. Non si sbagliava dunque Napoleone quando scriveva, nell’esilio di Sant’Elena: “La mia vera gloria non consiste nell’aver vinto quaranta battaglie. […] Ciò che nulla potrà cancellare, ciò che vivrà in eterno è il mio Codice civile” (C. Capra, op. cit., p. 361).