La battaglia di Lissa è una delle pagine tragiche della nostra breve storia unitaria. In quelle acque, il 20 luglio 1866, sul finale della terza guerra d’indipendenza, la moderna Regia Marina venne sonoramente battuta dalla obsoleta squadra austriaca. Una ferita bruciante per l’orgoglio nazionale e una severa lezione per il giovane regno. Come sottolineava l’ammiraglio Patrizio Rapalino commentando la catastrofe adriatica:
«I vertici della Regia marina, nonostante gli sforzi effettuati per rinnovare il naviglio ordinando la costruzione di nuove corazzate in Gran Bretagna e all’estero, non avevano compreso, e non comprenderanno neanche nei decenni successivi, che l’impiego dei mezzi non è sufficiente a fornire la vittoria se non si ha anche una strategia d’impiego dei mezzi stessi. In altri termini, il materiale non è sufficiente per vincere se gli ammiragli non sono in grado di condurre le navi in battaglia e i sottoposti non sono addestrati a seguirli…. Anche per fare un ammiraglio che sia vincitore sul mare occorrono generazioni di esperienza così come di tradizione marittima e neppure l’uomo più preparato sarebbe stato in grado di portare alla vittoria la flotta italiana, nella quale esistevano rivalità, gelosie, invidie, razzismo e si parlavano lingue e dialetti diversi» (Dall’Alpi all’alto mare”, 2014).
Insomma, nonostante la consistenza della flotta — 94 unità in servizio e nove in costruzione, per un totale di circa 110 000 tonn. di dislocamento, di cui la metà proveniente dalla marina duosiciliana — in mare l’unione non fa la forza e un potere navale non s’improvvisa ma si costruisce nel tempo.
Storie di ieri. Oggi di Lissa si torna a parlare per l’oro che da allora dormirebbe nelle profondità dell’Adriatico. Si tratta del forziere della “Re d’Italia”, pirofregata italiana speronata e affondata dalla nave ammiraglia austriaca “Ferdinand Max”. Un disastro. Colando a picco la nave squarciata a morte trascinò con sé – Verga lo ricorderà in uno dei passi più dolenti de “I Malavoglia” — trecento marinai e trenta ufficiali. Con loro, si suppone, sparì nel fondo del mare anche un forziere pieno di monete d’oro del valore odierno svariati milioni di euro.
Nel 2005 un gruppo di sub guidati da Lorenz Marović ha ritrovato il relitto a 115 metri di profondità e, immersione dopo immersione, ha iniziato a cercare il tesoro nella convizione che «gli italiani giunsero a Lissa per porla sotto la propria giurisdizione ed è impensabile che nei forzieri della nave non ci fosse una consistente somma di denaro per finanziare la nuova amministrazione».

Quest’estate, a 13 anni dal rinvenimento, la sorpresa. «Avevamo pianificato una spedizione con altri sommozzatori, tra cui c’erano due italiani, per fare video e verificare le condizioni del relitto» ha spiegato Andy Marović, figlio di Lorenz e fra i proprietari del “Manta Diving Center”, organizzatore dell’esplorazione. «Scesi in profondità» il team ha «visto una cassa inusuale per questo tipo di vascelli». Cassa che è rimasta integra perché «sembra essere di metallo, di foggia antica, risalente al 19mo secolo», conferma Marović padre. «Cosa ci sia dentro è una domanda cui va data una risposta, bisogna recuperarlo», ha auspicato il sub alla Tv croata, che ha subito parlato di «ritrovamento sensazionale». Attendiamo notizie.