Emilio Gentile nel suo ultimo saggio Quando Mussolini non era il Duce, lo ha seguito «attraverso le parole e i pensieri». Ugualmente Vincenzo Pacifici — preziosa firma di Destra.it — nel suo lavoro Antonio Salandra, pubblicato per le edizioni “Fergen”, nella collana diretta di Gennaro Malgieri, lo ha visitato e studiato alla luce della massima «ex ore tuo iudico», così da porsi in netto ed aperto riparo dalle interpretazioni e dalle valutazioni storiografiche, molto spesso faziose, non raramente prevenute con punte di astiosità uniche.

Al di là dei momenti cruciali dell’ingresso nel conflitto mondiale e della esperienza 1914- 1916, la figura di Salandra (1853 – 1931) merita tra quelle del XIX secolo sempre e comunque attenzione e riguardo ma merita una rivisitazione e un ripensamento per l’intero periodo della sua presenza sulla scena pubblica, anche nella prospettiva dei nostri giorni, speriamo siano ore, in cui i valori in cui ha creduto e che ha sostenuto (e non solo lui), appaiono sulla scena pubblica e nella vita quotidiana appaiono vilipesi, calpestati – indubbiamente dimenticati. A ben poco infatti, se non ad un momentaneo sfogo, sono serviti gli inni nazionali, cantati negli scorsi giorni.
Il pugliese, nato a Troia, diviene deputato nel 1886, sottosegretario alle Finanze nel gabinetto Rudinì (1891 – 1892), allo stesso incarico e con Crispi (1893 – 1896), ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio con Pelloux (1899 – 1900), alle Finanze con il I gabinetto di Sonnino (febbraio – maggio 1906), al Tesoro con il II esecutivo del toscano (1909 – 1910) ed infine presidente del Consiglio e , come è spesso , anzi quasi sempre capitato, anche ministro dell’Interno, dal 21 marzo al 5 novembre 1914 e dallo stesso giorno al 19 giugno 1916.
Vincenzo Pacifici, già professore ordinario di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia de “La Sapienza – Università di Roma”, ha posto come presentazione emblematica, questa frase: “La Patria, lo Stato / devono vivere perenni […] / Occorre ardimento, / non di parole ma di opere; / occorre animo scevro da ogni sentimento / che non sia quello / della esclusiva ed illimitata / devozione alla Patria nostra”.
Centrale sulla discesa in guerra è il discorso del 2 giugno 1915 al Campidoglio. Lo statista di Troia con orgogliosa chiarezza invoca un impegno corale di tutti gli italiani in termini davvero non confusi e non equivocabili: “nessuno se ne può sottrarre: chi alla patria non dà il braccio, deve dare la mente, il bene, il cuore, le rinunzie, i sacrifizi”. Per Salandra è indispensabile una seria riflessione dei tanti, che in quei mesi essenziali avevano espresso riserve sulla decisione favorevole al conflitto, considerata aggressiva, velleitaria ed espansionistica. Alla Patria – afferma Salandra ed in tanti siamo ancora con lui – si deve offrire il proprio sforzo morale e materiale, così che “dinanzi al tricolore […] si inchinino tutte le bandiere, si fondino tutti gli animi nella fede concorde che in quel segno vinceremo”.
Pacifici ritiene giustamente e tanto più opportunamente in questa drammatica fase della nostra quotidianità che queste espresse da Salandra sono considerazioni vere e coinvolgenti al cospetto della Patria, parola oggi camuffata sotto altre etichette (“sovranismo”) di origine straniere, prive di qualsiasi connessione storica e logica.
VINCENZO PACIFICI , Antonio Salandra, Roma, edi. Fergen, 2019, pp. 115. Euro 10.
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