Appena il tempo di voltare il calendario su settembre che, da oltralpe, arriva la mazzata. Jack Marchal, il francese più europeo che abbia conosciuto, se n’è andato avanti: con la sua chitarra, il suo pennarello nero e qualche buona bottiglia per raggiungere gli amici di una vita e fare baldoria da qualche parte.
In un attimo l’improbabile comunità della rete, s’intasa di ricordi, fumetti, foto, video musicali. Pare quasi che tutti l’abbiano conosciuto. Ed è così, perché è stato lui l’inventore del “rat noir”, l’inconfondibile personaggio del topo nero, il fumetto che ha trasformato in una risposta beffarda e orgogliosa l’insulto che i militanti della sinistra vomitavano per le strade (“fascisti carogne tornate nelle fogne”). Un topo che non ha niente a che fare con i suoi parenti passati e futuri: il celebre Topolino di Walt Disney, l’intellettuale e un po’ fifone Geronimo Stilton, il parigino Remi che si copre di gloria nella cucina di Ratatouille. Il topo “maudit” di Marchal, brutto e grintoso quanto si deve, sbuca fuori dal tombino della fogna dove l’avevano relegato e mena mazzate di pura ironia contro mezzo mondo: i miti stucchevoli della sinistra, le superstizioni della democrazia, le goffaggini e le contraddizioni della destra. A farne un personaggio, anzi il personaggio simbolo dell’immaginario della giovane destra, è Marco Tarchi, oggi insigne politologo e, negli anni settanta, uomo di punta dei giovani rautiani. La vignetta del topastro passa dal ruolo minore di “bande dessinée” del periodico satirico “Alternative” a protagonista delle copertine della “Voce della Fogna”, il giornale differente, urticante, spettinato che farà da rampa di lancio all’idea dirompente dei Campi Hobbit.
Celtica e topo diventeranno, in breve, simboli troppo forti per non essere adottati dai presidi più innovativi dei ragazzi del Fronte della Gioventù. Un giro d’Italia che toccherà ogni città, lasciando segni notevoli nella passione grafica del giovane Sergio Caputo a Roma e nelle mitiche “fanzine” milanesi di Marco Valle e soci: manifesti, volantini, adesivi. E, come vedremo, musica. Perché oltre ad essere un eccellente disegnatore, Jack è un uno degli apripista della musica alternativa in Francia, che dal “progressive rock” degli esordi arriva al gruppo identitario degli Elendil.
Marchal non viene paracadutato in Italia dal nulla.
Si era avvicinato al movimento “Occident” fin dal 1966. Una trafila militante che lo trova, mentre nei viali parigini imperversava il ’68, ad aderire ai GUD (Group Union Défense) fino ad entrare nella direzione politica di “Ordre Noveau” con l’incarico di responsabile della stampa e propaganda. Ed è qui che ne scopro le tracce quando chiedo a Pascal Gauchon, allora responsabile degli Esteri, di spedirmi un po’ dei loro migliori “affiche” per cercare di svecchiare lo stile polveroso della nostra propaganda. La storia politica di Jack è un fiume in piena come tutta la sua vita, incasinata, affannata, entusiasta. Ci “prova” con la creazione del Front National nel 1972 e confluisce nel ’74 nel “Parti des forces nouvelle”. Dieci anni dopo ritorna al fianco di Jean Marie Le Pen nel Front National”.
Questo curriculum duro e puro di militante nazionalrivoluzionario (nei feroci anni ’80 incrociò e ospitò anche un po’ di latitanti di casa nostra spinti in Francia dall’ondata repressiva) non autorizza nessuno ad iscriverlo al cliché del neofascista tout court.
Ripescando alcune sue vecchie interviste, Roberto Alfatti Appetiti, ci ricorda come Marchal, da ragazzo, tendesse a ben diversi approdi. “Sebbene leggessi Nietzsche e Céline, ero stato vagamente di sinistra, facilmente antirazzista, contestatore, individualista. Non avevo una grande opinione dei militanti politici in generale. Detestavo quelli di estrema destra che credevo volessero impedirmi di fare quello che mi pareva: la libertà, il rock, le donne, le feste.”
Ad allontanarlo da questa scelta bastò il contatto ravvicinato con l’intolleranza dei sessantottini. Alla facoltà di lettere di Nanterre, dove si aspettava un’esplosione di libertà, si trovò immerso in una fase di terrorismo ideologico. “Gli stessi arroganti, gli stessi abbruttiti impregnati di buona coscienza settaria che vediamo agitarsi all’interno dei gruppi antifascisti”.
Convinto com’era che “tutto ciò che riguarda la cultura è un’arma politica” Marchal non è stato soltanto geniale fumettista ma anche musicista e compositore.
A Roma, il 3 e 4 settembre del ’79, nella sala prove del Gruppo degli Janus, messa a disposizione dal batterista Mario Ladich, incide il suo Lp capolavoro “Science & Violence”. Lo presenterà qualche mese dopo in Abruzzo al terzo Campo Hobbit nel borgo di Castel Camponeschi.
Jack amava l’Italia e non perdeva occasione per dare segno della sua amicizia e disponibilità. E non si contano i concerti improvvisati che lo vedono protagonista.
Non si tirò indietro quando, nel marzo del 2016, fu invitato a Milano per partecipare al Memorial in ricordo del cantautore Massimino Morsello.
Me lo trovai al fianco, un anno dopo, sul palco del quarantennale di Campo Hobbit a Montesarchio – un avvenimento inspiegabilmente boicottato da una buona parte della nostra “camerateria” – a cantare, tutti insieme, “Il domani appartiene a noi”.
Anche quella notte, da eterno Peter Pan, riuscì a sorprenderci. Mentre, con l’indimenticabile Junio accordava gli strumenti, si lasciò andare ad un formidabile “a solo” alla chitarra sparando graffi, gemiti e svisature in una miscela rockettara da far rabbia a Jimi Hendrix.
Bandiera del protagonismo giovanile è riuscito ad invecchiare senza avere mai un’età precisa.
Nell’agosto del 1994 era in sella ad una moto con Olivier Carrier, musicista e pittore, e coautore del suo LP, quando un brutto incidente se l’era portato via. Lui se l’era cavata.
Nè avrebbe mai immaginato, dopo tante pagine di vita e di musica, di essere costretto di rendere onore a Junio Guariento, suonando ai funerali. Il dolore concentrato nei suoi occhi parlava più di qualsiasi orazione funebre.
Jack Marchal era allergico alle celebrazioni.
Perciò se si accorgesse che quello che sto scrivendo assomiglia ad un “coccodrillo” me ne direbbe quattro con il suo italiano imperfetto eppure chiarissimo.
Mi hanno detto che lo ha stroncato un infarto. Si fa fatica ad immaginarlo immobile, lui che fermo non sapeva stare un minuto.
Resta un’icona indelebile di una vita piena. Ideali, lotte, donne, bevute, avventure.
Di sicuro ha vissuto come ha voluto. Nessuno ha scritto la trama della sua esistenza. Non è da tutti.