Nel dicembre del 1979 la signora Donatella, mitica direttrice di Radio University, non trovava nessuno che aprisse la radio il giorno di Natale. Quell’anno i miei genitori erano all’estero, i miei fratelli in altre faccende affaccendati e la Cati, la mia ragazza di allora, avrebbe festeggiato con i suoi a Pavia. Così mi offrii di farlo io; la mattina alle 8 del 25 dicembre, il signor Arcuri mi aprì la porta della inaccessibile sede in via Mancini 1. Per la prima volta non dovetti arrivare con il mio pacco di dischi di soppiatto, con il timore di trovarmi davanti brutte sorprese, neanche il comunistello più scemo avrebbe sacrificato il Natale per aggredire colui che considerava il suo nemico.
Quel giorno il mio compito era di far partire la sigla delle trasmissioni, la Cavalcata delle Valchirie di Wagner, e poi mettere in onda i canti natalizi da tutto il mondo, con i dischi che mi ero procurato. Ogni tanto intervenivo con qualche commento ed augurio. Ero solo, di una solitudine piacevole, perché non sentivo come un sacrificio quello che stavo facendo. Sapevo che ad ascoltarmi erano in tanti, soprattutto a Natale, perché in quel giorno essere soli in casa può pesare e molto. Pensavo a ciò che significava una radio che ti tiene compagnia, che sai che appartiene al tuo mondo, ad una comunità vera, isolata, perseguitata, perfino da molti odiata.
Sentivo che attraverso l’etere ero in contatto con tanta gente nostra, come la Gabriella, il nome esatto non me lo ricordo, una ragazza affetta da una evidente zoppìa, che vestiva spesso di rosa e si appassionava in piazza a distribuire i nostri volantini ai comizi del MSI. Era sempre sola, ma generosa e sorridente. Pensavo alla signora Enza, una vedova che ci telefonava ogni giorno in diretta per rilanciare i temi dei nostri dibattiti mattutini, animando la discussione. Donne sole ma vive e partecipanti di una comunità vasta i cui confini era difficile stabilire.
Radio University tenne unita e viva quella comunità negli anni più duri e difficili nella storia della Destra, a Milano, come altre emittenti alternative in tutta Italia, permettendo ad un patrimonio umano di non disperdersi.
I canti di Natale si alternarono ad altre canzoni in quelle ore mattutine finché Alberto Biotti e Pietro Di Mino, umili ma irrinunciabili conduttori della nostra emittente, non mi rilevarono.
Radio University avrebbe vissuto altri sei anni, contribuendo a farci sentire vivi in quella traversata nel deserto.
Un giorno umido e grigio di dicembre del 2012, una domenica di trent’anni dopo, Ignazio La Russa convocò i quadri dirigenti lombardi di Alleanza Nazionale rimasti nel PDL al Pirellone.
Senza tanti preamboli, Ignazio esordì dicendo: ” Sono stufo di arrampicarmi sui vetri per giustificare decisioni ed affermazioni che con fatica condivido. Non ne posso più, non è questo il mio modo di concepire la politica, voglio tornare a pensare in libertà. Per questo sono pronto ad accettare di condividere il progetto di fondare un nuovo partito da parte di Giorgia Meloni e Guido Crosetto. Chiedo a voi cosa ne pensate e se siete d’accordo. Giorgia è decisa a chiamarlo Fratelli d’Italia, mentre io mi ispirerei a qualcosa con l’aggettivo “Nazionale”.
Tutti gli interventi dei convenuti, me compreso, si dichiararono favorevoli al progetto, il PDL era ormai un’avventura senza sbocchi, senza un futuro.
Qualcuno ebbe da ridire sul nome “Fratelli d’Italia”, considerato “massonico” (sic!); invece Giorgia Meloni ebbe l’ intuizione di capire che anche nel nome occorreva una svolta, basta con l’aggiunta di “nazionale” a qualsiasi soggetto.
Non ricordo chi ma qualcuno, in modo critico, paragonò quel soggetto politico che stava per nascere ad una matrioska, riferendosi ad una copia bella ma sempre uguale, sottintendendo in modo polemico la parte più piccola della bambola.
Non immaginava che invece da lì a dieci anni, sarebbe stata di gran lunga la più grande
delle bamboline.
Due mesi più tardi Fratelli d’Italia sarebbe stata chiamata alla prima importantissima competizione elettorale. In gioco c’era la sopravvivenza; il nostro partito ottenne un 1,9% di percentuale, sufficiente a far eleggere nove deputati ma nessun senatore.
Quel risultato risicato ma vitale fu dovuto a quella miriade di gente nostra, dispersa in ogni angolo della penisola, tenuta insieme dalla costanza, dall’amore, dalla fedeltà e dalla fiducia generata dall’impegno spesso piccolo ma quotidiano di tanti modesti, sconosciuti, generosi ed umili protagonisti.
Ricordiamoci ora delle tante Gabrielle, delle signore Enza, e di tanti altri, di cui forse ai tempi sorridevamo ma a cui è giusto dedicare le nostre vittorie.