Di tanto in tanto il velo di menzogna e impunità che copre costantemente i nostri “cari leader” si sposta e ci svela un barlume della loro realtà, fatta di ipocrisie e cattivi esempi. La storia italiana del dopoguerra è una storia di scandali, più o meno gravi, ma che hanno caratterizzato comunque settanta anni della nostra società.
Ogni volta che veniamo a conoscenza di sabotaggi, intercettazioni, furti, tangenti, cospirazioni, rimaniamo scioccati. Restiamo sconvolti dal cinismo, dall’avidità e dalla mancanza di scrupoli di coloro che abbiamo scelto come nostri rappresentanti e governanti. Ma tutto finisce nel giro di pochi istanti, come se fossimo assuefatti o, ancora peggio, rassicurati dal fatto che alla fine dei conti non sono nient’altro che la nostra versione in doppiopetto. O forse l’attività di tanti anni di propaganda, ci ha resi così mansueti da essere considerati alla stregua dei cagnolini che abbaiano, ma non mordono, fintanto che la ciotola verrà riempita.
Effettivamente, a pensarci bene, dopo aver assistito alla strage di Ustica, allo scandalo Lockheed, al caso Sindona, alle vicende del Banco Ambrosiano e di Calvi, alle tangenti ai partiti, ai finanziamenti sovietici, all’affare Monte dei Paschi di Siena, all’omicidio Mattei, alle connessioni Stato-criminalità organizzata, eccetera eccetera eccetera…e non aver reagito in alcun modo, come possiamo considerarci realmente cittadini meritevoli di leader onesti per questa nazione?
Siamo sotto incantesimo. Questa potrebbe essere l’unica spiegazione plausibile, altrimenti non si spiegherebbe la totale incapacità degli italiani di invertire questa tendenza alla disonestà che sembra non avere fine. In realtà fingiamo indignazione, ma non capiamo esattamente la dimensione del dramma socioculturale che stiamo vivendo e alimentando. L’ultimo esempio, in ordine strettamente cronologico, è il caso Cirinnà. A casa della nostra eroina viene rinvenuta una quantità di denaro in contanti nella cuccia del cane, la Senatrice della Repubblica (!?) dichiara di non saperne nulla e non contenta utilizza i social, con pseudonimi, per insultare altri politici a lei avversi. Ovviamente ogni accusa va provata e ci penseranno le autorità a stabilire quanto di loro competenza, ma gli avvenimenti danno la dimensione (minima) esatta delle persone che, giova ricordarlo, vengono profumatamente pagate per rappresentarci. E la questione Cirinnà è un granello di sabbia rispetto a tutto il fardello che ci portiamo dietro dal secondo dopoguerra ad oggi.
Allora la domanda sorge spontanea: siamo vittime o complici? Indubbiamente i nostri cari leader ci hanno educati all’irresponsabilità, a porre il piacere prima del dovere, a considerare l’onore un retaggio da fascisti, a considerare ogni luogo e ogni situazione una possibile occasione per approfittare del prossimo. Ci hanno educati all’inevitabilità della decadenza morale delle istituzioni e noi ce ne siamo fatti una ragione. Ma non è possibile che non ci sia mai un moto d’orgoglio o un senso di rivalsa o una richiesta di giustizia; allora vuol dire che siamo complici, perché ci sta bene così.
Fintanto che i nostri governanti saranno peggio dei governati, perché dovremmo sentirci in colpa per le nostre mancanze di cittadini? Abbiamo l’alibi perfetto per comportarci in maniera abietta, saremo sempre meglio di chi dal 27 giugno 1980 ci racconta ogni sorta di frottola sulla strage di Ustica, facendo continuamente ipocriti appelli alla verità.
E la nostra complicità sta bene ai nostri capi, perché l’anonimato e l’isolamento con cui agiamo è perfetto per mantenere l’ordine e il controllo, lavorando sulla totale assenza di ogni minima rivendicazione, di qualunque tipo possa essere: culturale, sociale, economica o etnica. A loro poco importa.
Il cambiamento è quindi solo nelle nostre mani, perché siamo noi a giustificare i comportamenti fraudolenti e non i ladri ad essere così potenti da non poter essere contrastati. Ma il nostro deve essere un grande lavoro interiore, di rinascita culturale e consapevolezza sociale, affinchè la giustizia non sia un concetto astratto in mano a pochi togati, ma il primo strumento umano per rimettere in ordine questa stramba società.