Dopo un lungo rinvio, scandito da litigi e furiose prese di posizione contrastanti, il Governo ha varato l’ennesimo decreto per il “rilancio” dell’economia del Paese. Non sappiamo ancora che cosa c’è dentro, ma sappiamo ciò che non c’è: risorse per soccorrere le 270mila imprese che non riapriranno, ridurre il tasso di disoccupazione destinato a lievitare, intervenire sulla produttività dato che il Pil ha toccato la vertiginosa quota di -9, come neppure al tempo della crisi del secolo, il fallimento della Lehman Brothers.
Sappiamo anche che per varare l’ennesimo provvedimento che espropria il Parlamento delle sue funzioni legislative, si è dovuto addivenire tra le parti ad un compromesso fondato sul terrore di innescare una crisi dell’esecutivo che questa volta, Covid o non Covid, avrebbe portato dritti alle elezioni anticipate, come nei giorni scorsi è trapelato dal Quirinale. E naturalmente il compromesso è stato al ribasso. Uscendo dal Consiglio dei ministri, infatti, nessuno è parso soddisfatto.
La spina nel fianco del M5S ha messo Conte in una situazione oggettivamente imbarazzante. Il Movimento che doveva essere il suo sostegno l’ha sostanzialmente abbandonato temendo di essersi spinto su posizioni europeiste inaccettabili dal suo elettorato. E così il dietrofront sul Mes, le polemiche contro l’Unione europea, l’opposizione alla regolarizzazione degli immigrati ed altre “cosucce” hanno fatto temere il peggio al presidente del Consiglio, ma anche al Pd il quale, da una crisi che si risolvesse nelle elezioni, avrebbe tutto da perdere. Il partito di Zingaretti se rompesse con il resto della coalizione, Renzi compreso (che francamente non fa capire mai cosa in realtà vuole, tranne tenere in bilico il governo minacciando ogni giorno sfracelli), non saprebbe a quale santo votarsi per mettere su uno schieramento competitivo al punto di immaginare di vincere le elezioni.
Dunque, opposizione dura e senza paura alle elezioni anche a costo di non governare o di farlo attraverso decreti legge e voti di fiducia. Le promesse non rispettate per cercare di rappattumare i disastri derivati dell’epidemia, sono indizi di una coalizione debolissima, priva di idee e progetti, incapace di sanare il sanabile per quanto sbandieri l’avvio della Fase 2 e, qualcuno, perfino della Fase 3. È facile dire che non ci sono risorse. Ma allora perché poco più d’un mese fa Conte agitò quei settecento miliardi di euro per la ripresa e la ricostruzione, come una manovra talmente gigantesca da sembrare miracolosa? Parole, parole….
La verità è che finora, a parte un po’ di cassa integrazione, non si è visto niente. O meglio si è visto ciò che poteva essere evitato. Fatevi un giro nei mercati ortofrutticoli o nei supermercati: il portafogli risulterà inadeguato alle spese. Tutto è aumentato spropositatamente nelle settimane della chiusura e portarsi a casa l’essenziale diventa piuttosto complicato, considerando che l’impoverimento generale dovuto al “fermo” dei mei scorsi, soprattuto per negozianti, artigiani e Partite Iva, limita il potere di acquisto della maggior parte dei consumatori.
Abbiamo l’impressione che il Governo invece di impegnarsi a rimettere in piedi il Paese, si stia dedicando a manovre che poco hanno a che fare con la pandemia ed il suo superamento. I cittadini non sono tranquilli e perfino coloro che bramavano di uscire dalla “reclusione” cominciano ad avere qualche perplessità per via di norme confuse e contraddittorie. Avremmo bisogno, soprattutto in questa fase, di un esecutivo che ispirasse fiducia. Dunque, coeso e dotato di una progettualità tale da mettere in sicurezza, nei limiti del possibile, la nazione. Ci troviamo, invece, davanti ad una sgangherata compagine che pensa molto di più a salvare se stessa che il Paese.
È chiaro a tutti che nelle condizioni date un Governo debole e diviso non può che essere nocivo. Se ad esso si aggiunge la conflittualità permanente (ed inevitabile) con le Regioni il profilo anarchico della politica italiana è a tutti comprensibile. Lo sperimenteremo, nostro malgrado, purtroppo, fin dalla prossima settimana quando le “aperture” diventeranno massicce e non c’è un centro di coordinamento unitario per far sì che gli italiani marcino in una stessa direzione.
Temiamo il peggio e facciamo gli scongiuri. Ma certamente non basta. La ricetta? Nuove elezioni (che per come stiamo messi sarebbe un’impresa organizzarle) o un esecutivo presieduto da chi è il grado di assumersi la responsabilità di governare con fermezza e sottrarsi ai ricatti partitici. Se non fosse possibile, tutti e casa e gli italiani al voto, nonostante le difficoltà che comporterebbe una competizione elettorale che oltretutto, fin dall’epoca pre-Covid, è sempre più mediatica e virtuale che popolare e partecipata. Dunque non impossibile neppure di fronte ai rischi di assembramenti.