La necessaria premessa è che questo NON è un post di campagna elettorale, ma una compiuta analisi socio-antropologica di cui sono fermamente convinto.
Tutti quanti abbiano avuto la (s)ventura di leggermi, sanno che io considero i sinistri – in ogni parte del globo – un fastidioso orpello la cui subitanea sparizione (nel circuito dell’umido) determinerebbe, ipso facto, un deciso miglioramento per l’ambiente (un po’ come, per intenderci, se allo schiocco delle dita potessimo liberarci di ratti e zanzare).
Tuttavia, con il manifesto in appresso riproposto, sono riusciti a superarsi, dimentichi di gettare un sia pur inconsistente velo ideologico a parziale copertura delle loro povertà mentali.
Ricorderete che nel primo decennio del secolo, durante il breve governo Prodi che esse stesse affossarono, le zecche si distinsero per la produzione di un manifesto in cui era immortalato uno yacht sopra il quale compariva la scritta “anche i ricchi piangano”. Il tutto, a sostegno dell’improvvida decisione dell’esecutivo di aumentare a dismisura la tassa di stazionamento dei natanti nei nostri porti.
Il risultato, vale la pena richiamarlo, fu che TUTTI i proprietari di barche stazzanti più di un canotto a remi indirizzarono la prua dei loro costosi giocattoli verso le più fiscalmente accoglienti coste di Francia, Tunisia, Grecia e Croazia. Contemporaneamente centinaia di VitiCatozzi, a bordo di “fregate” (absit iniuria verbis) della guardia di finanza (mi perdonerete, ma non riesco proprio ad usare la maiuscola), si sguinzagliarono all’arrembaggio delle poche barche rimaste in circolazione, per controllare, verbalizzare, multare; ovviamente volgendo le terga al contemporaneo approdo illegale di barconi e zattere irregolari che – nell’interesse finanziario di organizzazioni “umanitarie” – ci scaricavano quotidianamente migliaia di nerboruti clandestini, già pronti – più che a pagare i contributi per le nostre future pensioni – ad ingrossare le fila della malavita.
Il previsto aumento di gettito stanziato in bilancio non si generò neppure per la centesima parte, ma tutta la filiera commerciale e lavorativa legata alle marine deflagrò. Bar, ristoranti, alberghi e boutiques, ma anche servizi legati all’accoglienza delle barche, marinai, elettricisti, facchini persero da un giorno all’altro tutto il fatturato ed il posto di lavoro (si spera fossero almeno in gran parte loro sostenitori). E, si badi bene, tutto ciò ebbe un impatto di lungo periodo, giacché poi ci vollero anni per convincere (parte) degli espatriati a tornare a consumare vacanze e denaro entro le nostre acque.
Ma, almeno verbalmente, quella sesquipedale idiozia comportava, nella testa culturalmente bacata ed economicamente ignorante dei kompagni, il pretesto per far pagare le tasse ai ricchi, secondo consueto costume di chi – non avendo la capacità in proprio di mettere insieme il pranzo con la cena – pensa di poter vivere all’infinito con i soldi degli altri.
Nel caso odierno, invece, non c’è nemmeno il contraltare economico; e certo non perché abbiano tratto insegnamento dal fallimento dell’atto di pirateria prodiana. È solo che, tutto il resto mancando, emerge in totale trasparenza la loro natura di frustrati istituzionali, costretti dalla totale assenza di neuroni a vivere nel livoroso limbo dell’invidia sociale e dell’odio verso “chi ce la fa”, peraltro in sempre più puntuale assonanza con il loro nuovo maitre à penser, il gaucho in sottana bianca che si è occupato di stringere la cruna dell’ago ed ingrandire la gobba dei cammelli.
Qui, semplicemente, si dice “abolizione dei jet privati”. Quindi l’obiettivo non è più quello di tassare i pochissimi che se li possono permettere, ma costringere loro a rinunciare al lusso (impossibile far capire ai nostalgici di Stalin che la circolazione della ricchezza è l’unico naturale sistema di distribuzione della stessa) ed obbligarli a condividere la loro quotidianità.
Ciò cui questi rifiuti umani anelano, è costringere il miliardario a condividere il viaggio con loro, a sopportarne sandali e canottiere, a respirarne i miasmi (si sa che, dietro il finto ambientalismo, si cela scarsissima confidenza con l’acqua), a doversi stringere nella poltroncina per dare spazio all’adipe loro, di quegli scaldabagni che si portano al seguito in qualità di consorti, ed all’inestetica sequela di maleducati e sgraziati mocciosi che hanno voluto imporre all’ umanità per l’insano istinto di riprodursi, nella totale assenza di spirito autocritico.
Io che, non essendo un possidente, ho comunque da tempo scelto uno stile di vita che limiti fortemente i contatti con una popolazione sempre più sciatta e chiassosa, tenendo a distanza di sicurezza gli sgradevoli rampolli di chi pensa sia giusto proporli al prossimo (ovviamente alla costante ricerca di chi ne debba pagare cura, assistenza e studi sempre più inefficaci) auspico che – nella improbabile e denegata ipotesi di applicazione dell’abolizione ipotizzata da questa feccia dal pensiero malato – chi dovesse rinunciare ai voli privati si comprasse ITA, tenesse occupati tutti gli slot nazionali, e decuplicasse i prezzi dei biglietti ordinari.
Così, jannaccianamente, per vedere di nascosto l’effetto che fa.