In queste settimane di grandi tragedie nell’Italia centrale, dalle ripetute scosse sismiche alle tempeste di neve degli ultimi giorni, si sono visti all’opera tanti enti ed uomini, dalla Protezione civile al Soccorso Alpino, dai Carabinieri ai Militari, dai volontari agli ammirevoli sindaci delle zone colpite.
Non abbiamo però visto, negli scenari che quotidianamente la televisione e la stampa ci mostrano, la presenza della Chiesa che pure sta in quei luoghi come dovunque in Italia. E ci riferiamo non tanto agli interventi finanziari od assistenziali, che forse (ma non si hanno notizie precise) ci saranno stati ma ad altri aspetti più tipici di una istituzione spirituale come dovrebbe essere la Chiesa.
Nei secoli passati, quando avvenivano disgrazie di queste dimensioni, il popolo non solo si aspettava i soccorsi materiali ma anche qualche soccorso che potremmo definire “spirituale”. Pensiamo a pubbliche preghiere ed a cerimonie sacre da un lato di ringraziamento per i pericoli scampati e dall’altro per impetrare la sospensione delle azioni catastrofiche; pensiamo alle esequie per le vittime; pensiamo a processioni sui luoghi colpiti per chiedere la benedizione divina e nello stesso tempo per rincuorare i sopravvissuti nelle condizioni critiche in cui si trovano.
Il sindaco di Amatrice, Pirozzi, si è fatto indiretto interprete di questo stato d’animo quando ha dichiarato disperato: “Ma perché Cristo ci ha abbandonati?”
Insomma, assieme agli aiuti materiali sarebbe necessario – in casi di questo genere – un aiuto di tipo spirituale, un appello alle forze soprannaturali per ristabilire la pace tra gli uomini e la natura. Si dirà: ma queste sono manifestazioni di tipo medievale che ormai non hanno alcun senso in questi anni di “realismo” certamente non magico ma molto materialistico.
Eppure, anche le antiche civiltà – a cominciare dai Romani che facevano gli auspici con gli aruspici ed i sacrifici propiziatori o di ringraziamento – non dimenticavano mai che, per dirla con Shakespeare, “al mondo ci sono più cose tra cielo e terra di quello che l’uomo possa immaginare”.
Ma non vi è solo un papa (che siede abusivamente sulla cattedra di San Pietro secondo quanto ha scritto Antonio Socci in “Non è Francesco”) che non si occupa di queste questioni per discettare di politica estera e di ecumenismo con l’Islam ed i Luterani: abbiamo anche i vescovi del territorio che non si sono mai visti presenti sui luoghi delle sciagure e fare quello che il loro ordine sacro impone loro, ossia di pregare e di assistere spiritualmente quello che un tempo si chiamava “il gregge” che dovrebbero accudire come “il buon Pastore”. Dove sono, oggi, i “Pastori”? Certamente, i titolari delle diocesi interessate – L’Aquila, Ascoli Piceno, Rieti, Spoleto-Norcia – si sono interessati per raccolte di aiuti, sistemazione delle persone rimaste senza casa, messa in sicurezza ove possibile delle chiese e basiliche storiche pericolanti: ma non ci sembra ci siano stati pubblici interventi di tipo appunto “spirituale”. E cosa ha fatto la “Conferenza Episcopale Italiana” che è sempre pronta –soprattutto per bocca del suo segretario Mons. Nunzio Galantino – ad intervenire sui media per emettere giudizi politici ed a sostenere gli immigrati, nelle zone terremotate e disastrate dalle tempeste di neve?
Questo, a mio parere, è un altro chiarissimo sintomo della decadenza della Chiesa cattolica in Italia, iniziata con lo sventurato Concilio Vaticano II^ e che si sta ingrossando e precipitando come la valanga che ha travolto l’albergo sul Gran Sasso.
Ma, di tutto ciò, nessuno si allarma e nessuno interviene!