La recente tragedia delle tre suore italiane massacrate in Burundi ha agghiacciato l’opinione pubblica. Per qualche istante — tutto scorre vorticosamente e le notizie si susseguono — molti si sono chiesti perchè? Perchè quest’odio, perchè queste morti. Ma, soprattutto, per quale motivo delle persone continuano ad impegnarsi in questa missione disperata e grandiosa. Una risposta arriva da un eremo del Centrafrica, da una suora di clausura italiana. Un documento importante. Da leggere con attenzione e rispetto. (ndr)
BE AFRICA
Quello che il Signore ha scelto per me è la vita nelle radici della Realtà, vita in profondità. Dono gratuito del suo immenso Amore a una povera creatura sostenuta solo dalla sua bontà e dalla sua grazia.
Come ogni persona scelta per vivere nella contemplazione della Bellezza, nella solitudine e nella preghiera, sento la mia vita come seme gettato nella Madre Terra.
Per me Gesù ha scelto una terra speciale, rossa, argillosa quasi impenetrabile anche alle grandi piogge: quella dell’Africa e, nel cuore (Be) dell’Africa quella del Centrafrica (Be Africa).
Centro vuol dire cuore. Cuore vuol dire vita, vita vuol dire croce, croce vuol dire Amore.
Dal luogo dove il mio cuore batte la vita come seme in terra, non vedo i grandi spazi di questo immenso Continente, le sue distese verdi, le potenti cascate, i villaggi disseminati nella foresta o le grandi, immense spiagge bagnante dalle onde degli oceani.
Non godo del sole cocente che obbliga a coprirsi il capo con qualsiasi cosa si abbia in mano: pagne, cuvette, sacco di manioca….
Non posso immergermi spesso nello specchio limpido e puro degli occhi dei bambini, in quegli sguardi che, con fiducia e attesa, si immergono nel cuore.
Non partecipo direttamente alle grandi sofferenze dell’insicurezza dei villaggi dove ribelli e ladri di tutte le speci e colori politici distruggono capanne e vite, obbligano alla fuga in brousse donne e bambini e lasciandosi dietro solo disperazione, silenzio di morte e una terra bagnata dalle lacrime mute che, come umili parole, sono le sole a poter esprimere l’immensa desolazione e la paura del presente e del futuro…
Non sono presente a raccogliere cocci di famiglie distrutte dall’AIDS, ad aprire le porte del cuore e della casa ai numerosi orfani che finiscono a carico dei nonni, già anziani e logorati dalla vita, dai sacrifici e senza nessun mezzo per sostenere la vita dei loro nipoti e nipotini.
Non vago di notte per incontrare e avvicinare i ragazzi e le ragazze di strada, che sempre di più sono quel popolo nascosto e sofferente che miseria, malattia e morte generano senza luce d’avvenire e di speranza.
Non sono svegliata nel cuore della notte perché al dispensario arriva in urgenza un bambino che la malaria, trascurata dai suoi genitori per ignoranza, ha portato in fin di vita e subito mi devo attivare per poterlo salvare con una trasfusione di sangue. Mentre nella sala accanto una donna grida alla notte la gioia di una vita!
Non lotto con lo Stato e i suoi ministeri per ricordare loro il diritto dell’istruzione o per poter aprire una scuola di vilaggio, dove numerosissimi bambini e adolescenti attendono di uscire dall’analfabetismo e vedere brillare nel loro abbandono la luce della conoscenza.
Ma da questo luogo di silenzio, dove si fa più attento l’ascolto, sento i brividi della vita che scuotono il torpore e la rassegnazione di questo popolo ancora troppo sfruttato, ancora troppo ferito, ancora troppo dimenticato. In ginocchio per implorare dalle dominazioni di sempre quello che sarebbe legittimo avere: la gestione dei proprio beni, delle proprie ricchezze del suolo e del sottosuolo, della bellezza della loro natura che invece è venduta a imprese straniere.
Sento il rinascere continuo della Speranza che nessuno puo’ uccidere, prosciugare, esaurire. Una piccola grande Speranza deposta nuova ed intatta in ogni bambino che nasce e che è accolto come inestimabile dono anche in famiglie già numerose e provate dalla povertà.
Speranza che esplode nell’entusiasmo dei giovani sempre pronti a scoprire cose nuove e a credere in un avvenire migliore.
Speranza che veste di gioia i giorni di festa. Giorni preparati da una felice attesa che fa dimenticare per un attimo la miseria e la sofferenza. Giorni di sorriso che riuniscono sempre numerosissime persone nella gioia della vita, nei colori variopinti che decorano gli abiti e i copricapi delle donne. Giorni scandidi, dall’alba al tramonto, dal battito di enormi tamburi che come cuori battono senza mai stancarsi, lanciando grida verso la Speranza e la Vita.
Dal monastero in cui vivo con altre 8 sorelle (5 africane e 4 italiane) questa avventura che dura ormai da 23 anni non posso che cantare la gioia che mi abita e ringraziare il Dio di ogni Bellezza e di ogni Vita per questa imprevibile strada missionaria che ha preso la mia vita: