L’elenco delle brutture di questi Europei di calcio è lunghissimo: l’inno degli U2, le cronache di Alberto Rimedio e i commenti di Katia Serra, la tracotanza con cui è stato imposto (a chi se lo è lasciato imporre) il siparietto imbecille di Black Lives Matter, il ragazzino multi-griffato che ha sventolato una bandiera arcobaleno in campo (riassunto di quanto sia maleducata, esibizionista, autoreferenziale la fronda LGBT, e di come certe “ribellioni” di plastica siano telecomandate dalle multinazionali), gli insulti dei tifosi belgi a Spinazzola in barella, le ciarle di Severgnini su quanto la nazionale inglese sia più simpatica di quella italiana perché multietnica e “coloured”.
A proposito dell’imminente sfida Italia-Inghilterra, in quel di Wembley: pur senza fare peggio di Severgnini (è impossibile, ma Gramellini studia per avvicinarsi), la “copertina” del TG2 Sport di giovedì 8 luglio (il giorno dopo la conquista, da parte dell’Inghilterra – favorita da una decisione arbitrale inqualificabile – della qualificazione alla finale) è stato uno spettacolo indecoroso. Il redattore RAI si è beato dell’annunciata presenza, alla finale londinese, del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: altro aplomb, rispetto al premier britannico Boris Johnson, che alla semifinale Inghilterra-Danimarca ha assistito (affiancato dalla graziosa, ed elegantissima, neo-moglie Carrie Symonds) indossando la maglietta della nazionale albionica.
Al di là di opinioni e schieramenti, e sorvolando sulla retorica becera che trasformato (soltanto perché anti-sovranista) un presidente tutt’altro che glorioso (per niente, davvero per nulla) in un vanto italiano; è rattristante, è squalificante per la professione giornalistica, che l’informazione della televisione pubblica non riesca ad andare un poco al di sopra del luogo comune di “Boris Johnson spettinato e cafone” e dell’astio che gli è tributato per il solo fatto di aver completato la (sacrosanta, dell’opinione di chi voleva la Gran Bretagna ancora prigioniera dell’UE soltanto perché se noi dobbiamo essere schiavi gli altri non possono essere liberi me ne strafrego) Brexit (che poi Johnson abbia completato un percorso svolto per lo più da Theresa May è un passaggio del quale gli europeisti non sono in grado di tenere conto: sanno strillare contro un capro espiatorio per volta, due bersagli richiedono troppa concentrazione).
Sono ripicche patetiche, è l’invidia degli straccioni contro chi è libero. Sarebbe cosa gradita, se si lasciassero i commenti sulla trasandatezza di “BoJo” alle sciampiste, alle chiacchiere di Gaia Servadio; invece no, anche il giornalismo professionale, anche l’informazione pubblica si deve adeguare a queste cretinate da zabette tanto insipienti quanto ciarliere. Fa niente se la Brexit sta avendo effetti benefici per la nazione, la quale per di più è quella che sta uscendo meglio dal “lockdown” (che, ricordiamolo sempre, è stato più dannoso del Covid stesso); fa niente, si fa troppa fatica a cambiare parere sul buzzurro coi capelli in disordine, meglio restarsene ottusamente immobili sulla linea “Boris Johnson è un cafone” e dar retta alle veline del già citato Severgnini: “rispettare l’imperatore, allontanare i barbari” dicevano i giapponesi devoti al Tenno, “riverire la BCE, schiumare rabbia contro chi se ne libera” dice il giornalista cremasco che guarda un po’, porta i capelli come Johnson.
Si resti in superficie, quattro anni di presidenza Trump e delle solite baggianate non sono bastati: i nullapensanti che tacciavano di “guerrafondaio” uno dei pochi presidenti degli USA che non abbia scatenato guerre, sono gli stessi che nel premier che sta portando la Gran Bretagna fuori dalla trappola dell’Unione Europea e dallo spauracchio del Coronavirus vedono soltanto un inglesaccio che va allo stadio con la maglietta da calcio. Vuoi mettere Pertini al Bernabeu? Così signorilmente entusiasta… il politico più feroce della storia repubblicana? Ma che importa, le cose importanti sono altre… Pertini mica metteva la maglietta della nazionale.