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Tiro al bersaglio sulla Russia. La strage degli ideologi del “partito della guerra”

di Gian Micalessin
7 Maggio 2023
in Il punto
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Tiro al bersaglio sulla Russia. La strage degli ideologi del “partito della guerra”
       

La prima  è stata Darya Dugina ammazzata  da un ordigno destinato al padre Aleksandr, simbolo del pensiero nazionalista russo. Poi, ai primi di marzo, è arrivato il fallito attentato a  Konstantin Malofeev,  fondatore del gruppo mediatico Tsargrad e portabandiera del cosiddetto  “partito della guerra”. Neanche un mese dopo una bomba, nascosta in una statuetta, ha messo a  tacere per sempre Vladlen Tatarskij, il blogger-combattente reduce e narratore di tutti i fronti dell’Operazione Speciale. Ieri, infine, è arrivato l’attentato  a  Zakhar Prilepin,  lo scrittore  miliziano veterano di Cecenia e Donbass ferito da un ordigno piazzato sotto il cofano della sua automobile.

Ora sarà un caso, ma il comune detonatore di tutti questi attentati, rivendicati da sigle e gruppi  apparentemente diversi, sembra  l’eliminazione di intellettuali e ideologi diventati la cinghia di trasmissione ideologica e mediatica  tra la linea del fronte e il grande pubblico nazionalista. Dugin,  Malofeev,  Tatarskij  e Prilepin erano, e restano, gli ideologhi di un intervento in Ucraina considerato indispensabile per riconquistare  la culla della Grande Russia ed evitarne la caduta sotto il tallone dell’Occidente. Con lo scoppio della guerra il loro messaggio  politico si è trasformato nella sovrastruttura ideologica, culturale e mediatica di  quel nazionalismo diffuso che rappresenta da secoli il cuore e l’anima della Russia profonda.

Una Russia che nonostante le sanzioni economiche e le batoste subite da Kiev a Kharkiv  ha continuato a garantire  un consenso largamente maggioritario a Vladimir Putin. Una Russia pronta  a vedere nella  Wagner di  Evgeny Prigozhin e nei  ceceni di Kadyrov l’inevitabile  alternativa all’inefficienza di un esercito abbandonato nelle mani di  generali corrotti e  incapaci.

Ora, però, s’avvicina una svolta cruciale. Grazie a decine di migliaia di soldati armati e addestrati dalla Nato l’Ucraina prepara un offensiva che potrà contare non solo sulle strategie messe a punto  dall’intelligence occidentale, ma anche sull’imponente schieramento di carri armati,  blindati e  missili arrivati  da Europa e  Stati Uniti. Se, nonostante quest’apparato bellico, Kiev non riuscirà a sfondare il conflitto si trasformerà in un’interminabile guerra d’attrito. Ma se i soldati ucraini riusciranno a  raggiungere le coste del Mar d’Azov e i confini della Crimea la Russia e il sistema di potere governato  da Vladmir Putin rischieranno non solo un  sconfitta,  ma una pericolosa  implosione.

In questo frangente una radicale trasformazione dell’apparato di potere accompagnata da una decisa svolta autoritaria di stampo militarista potrebbe rappresentare l’ancora di salvezza indispensabile a garantire la sopravvivenza del sistema  putiniano. Un sistema affidato agli uomini simbolo dell’emergenza bellica come il capo della Wagner Evgeny Prigozhin, il leader ceceno Razman Kadyrov o quel generale Mikhail Mizintsev che giorni fa non ha esitato ad abbandonare la poltrona di vice ministro della Difesa  per assumere un incarico di comando ai vertici della Wagner.  Solo lo scudo di questi “falchi” pronti ad assumersi il ruolo di  salvatori della patria potrebbe risparmiare a Putin la rabbia di una Russia mai  troppo benevola nel corso della propria Storia con zar e generali sconfitti.

Una metamorfosi di potere di  cui qualcuno intravvede i prodromi nelle sfuriate di  Prigozhin  pronto a tuonare contro  “La feccia che non ci dà munizioni” ovvero quel ministro della Difesa  Sergei Shoigu e  quel capo di stato maggiore generale Valery Gerasimov accusati di  costringere al sacrificio gli uomini della Wagner sul fronte di Bakhmut. Ma per innescare una simile  metamorfosi di potere  e trasformare  la Russia di Putin in una nuova Sparta diventerebbero quanto mai  indispensabili i messaggi e le  benedizioni ideologiche di personaggi come Dugin,  Malofeev,  Tatarskij  e Prilepin. Pensatori e comunicatori di cui non a caso, forse, è stata decisa e tentata l’eliminazione preventiva.  

Tags: Gruppo WagnerRussiaVladimir Putin
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