“Se a via del Corso, nel centro del centro di Roma, chiami “Presidente!” si gireranno in quindici. L’Italia è piena di presidenti, e della più varia risma: ogni autorità pubblica ne ha uno, spesso più di uno. Non a caso, se in Germania guida l’esecutivo un cancelliere, se in Inghilterra governa un primo ministro, alle nostre latitudini c’è invece un presidente del Consiglio. Così, in ciascuno degli ottomila Comuni italiani s’incontra il presidente della Giunta (ovvero il sindaco), quello del Consiglio comunale, i presidenti delle commissioni consiliari, i presidenti dei gruppi politici che siedono in Consiglio….”.
Dice così il costituzionalista Michele Ainis nel suo ultimo libello. Parla e scrive di oltre settantamila cariche, cioè di presidenti di ogni cosa. E parla di tutto ciò che è pubblico. Pensate che finisca solo qui? No. Questa è l’Italia, il paese dei ducetti. Sì paese nell’accezione peggiore, quindi cosa diversa da una Nazione. A quei settantamila ducetti, vanno aggiunti i presidenti infiniti degli infiniti sindacati. Poi delle infinite associazioni di categoria, tra cui la mia. E come non parlare dell’associazionismo cosiddetto culturale. Che, non a caso, fa riferimento quasi esclusivo al lato sinistro del parlamento. Cioè quel lato che gli da da vivere.
E quello sportivo? Cioè dal vertice del CONI, fino all’ultimo gruppettino sportivo che ha sempre a capo uno che chiamano presidente. Fino ai nuovi presidenti, quelli delle ONG che trasportano schiavi e finti schiavi, dalla Libia. Dice, ma è nella natura e specificità dell’italiano crearsi il proprio campetto di calcetto, dove porta lui il pallone e si gioca finchè gli va. Figurarsi ora con le precipitose elezioni politiche volute da Mister Ghigno Draghi, non a caso presidente che mai si è misurato in una qualsiasi competizione elettorale. Compreso il suo condominio ai Parioli dove abita.
Tutti presidenti. Con il sogno di poter contare e condizionare l’altro in competizione. Partiti vecchi e partiti nuovi, tutti accomunati dalla sindrome del ducetto. Calenda, altro pariolo, docet. Il miracolo italiano, diceva qualcuno anni fa. Sì il miracolo di sopportare tutto ciò, come se nulla fosse.
Siamo arrivati a queste elezioni con un’area del dissenso, enorme. Che si unisce ad una astensione spaventosa per l’Italia. Bene. Anche quest’area del dissenso, vive e morirà dello stesso identico problema. Tutti ducetti, uno di qua, uno di là, uno di sopra, uno di sotto, uno di fianco a destra, uno di fianco a sinistra. Nessuno che studia, elabora, raccoglie suggerimenti. E, come sempre, finirà che i primi della categoria, cioè gli apparati dello Stato, godranno di queste frammentazioni infinitesimali, facendola franca.
Evviva i settantamila presidenti. Evviva il paese, non Nazione, dei ducetti. Mentre le piccole imprese se la devono sbrogliare da sole. Anche qui, come sempre da sempre.