Accanto a tanti “maestri del pensiero” scomparsi da conservare è possibile contare su uomini di pensiero viventi da seguire e da leggere nelle loro lezioni. Senz’altro rientra in questo novero Sabino Cassese, il quale ha parlato negli scorsi giorni sulla scuola e sugli abusi ed eccessi della magistratura, temi portanti nella società di questi anni.
Sull’istruzione ha sensatamente denunziato la superficialità del “patto per la scuola al centro del Paese”, ponendo quesiti condizionanti sulle misure programmate sul reclutamento senza concorsi in barba ed alla faccia della Carta Costituzionale. Cassese chiede e richiede il “coraggio di ripensare”, denunziando la “povertà educativa della nostra società”, in “circa metà della popolazione italiana composta da analfabeti, analfabeti di ritorno, analfabeti funzionali”.
L’editorialista osserva che “l’autonomia della scuola, promessa dalla Costituzione, è rimasta a metà, con istituti scolastici poco autonomi e un centro incapace di monitorare le condizioni della periferia”, con stabilizzazioni, “al di fuori di procedure competitive”, contrarie, con conseguenze penose, al principio portante della meritocrazia.
In una intervista pure di data assai recente il Maestro campano ritorna in modo mirato sulle magagne della magistratura, nelle quali vede una situazione penosa, vecchia oramai di oltre 30 anni. Pur esprimendo stima e considerazione per Draghi, non nasconde “nei” avvilenti e frenanti in ministri troppo ciarlieri. Reputa necessarie, consigliandole, due riforme: “un meccanismo di stabilizzazione dei governi e una fucina di produzione di classe dirigente”. Segnala, poi convinto e soprattutto convincente, la perdita di credibilità della magistratura.
Al quesito “c’è un deficit di democrazia nel Paese o viceversa c’è un eccesso paralizzante?” la risposta fornisce il quadro più esauriente e più largo di prospettive: “Paradossalmente tutti e due. Di organizzazioni democratiche ne abbiamo molte: eleggiamo i componenti dei Consigli comunali di ottomila comuni, dei Consigli regionali di venti Regioni, del Parlamento nazionale, del Parlamento europeo. Mancano, invece, gli anelli di congiunzione, il collante: si pensi a quello che è successo con la pandemia nei rapporti tra Stato e Regioni [queste quasi sempre fastidiosamente straripanti], ma nei rapporti tra le singole Regioni [paralizzanti nei loro campanilismi]”.