In occasione dei cento anni dell’Aeronautica italiana, ai primi di giugno si è tenuta una interessante mostra nel castello di Costigliole d’Asti, gestita dall’Associazione Nazionale Carabinieri della provincia. Il castello di Costigliole ha qualcosa di fiabesco e ci dice che non occorre per forza andare sulla Loira per vedere bellissimi ed antichi manieri.
Nella prima sala lo spazio era dedicato all’Arma dei Carabinieri, alla loro storia, alle divise, alle immagini della Virgo Fidelis, Maria, la madre di Gesù, chiamata con questo appellativo come protettrice di tutti gli uomini della Benemerita. La seconda sala ospitava i paracadutisti della Folgore con filmati di lanci e fotografie storiche.La terza sala non poteva che essere dedicata alle Frecce Tricolori con esposizione di caschi, tute, cloche ed altre apparecchiature di pilotaggio.
Insomma, questa mostra era una vera e propria immersione nel più limpido patriottismo; ma ciò che più mi ha colpito era rappresentato proprio nella prima sala. Due grandi pannelli, scritti fitto fitto e corredati di fotografie d’epoca illustravano l’epopea della battaglia di Culqualber, combattuta in Etiopia dal 6 agosto al 21 di novembre del 1941. Una battaglia di cui non conoscevo l’esistenza, offuscata dalla fama della più nota El Alamein, nonostante ne ricalcasse le gesta e l’eroismo.
Ma c’è una ragione in questa dimenticanza, andando a rileggerne le vicende: Culqualber è quanto di più lontano ci sia dal pensiero unico dominante. A quella battaglia, che si svolse in Etiopia, nelle terre di Gondar, presero parte un battaglione di Carabinieri, il CCXL battaglione di Camicie Nere e con loro centinaia di Ascari. In quell’estenuante assedio persero la vita 1003 uomini, curiosamente metà italiani, 513, e metà eritrei, 490, a cui si aggiunsero 100 civili, ovvero mogli e figli dei soldati africani, per tradizione al seguito dei loro capi famiglia.
I reparti italiani erano assediati da forze inglesi preponderanti, quasi dieci volte di più. I britannici mandarono al massacro indiani, somali, tribù rivali, kenioti dell’etnia kikuyu, indifferenti al loro sacrificio, vera carne da macello. I nostri soldati assediati per giorni, resistettero oltre ogni immaginazione. Isolati soffrivano la fame e la sete. La notte lasciavano le loro camicie all’aperto perché si impregnassero di umidità per almeno rispondere all’esigenza di igiene personale. Ebbero momenti di sollievo quando attuarono incursioni nel campo nemico, veri e propri attacchi all’arma bianca, sottraendogli armi e vettovaglie. Si inventarono perfino una specie di carrarmato, ponendo dei pannelli laterali ad un normale trattore, che venne chiamato “Porcospino”.
Gli italiani ebbero il supporto di due aerei, entrambi sacrificati, contro i 57 nemici che alla fine determinarono la resa dei nostri uomini. Furono 1900 i prigionieri, di cui 804 feriti, anche qui 404 italiani e 400 ascari. Fianco a fianco combatterono Carabinieri e Camicie Nere, italiani ed africani, morendo uno accanto all’altro, spesso in una lotta corpo a corpo. Le sorti del conflitto erano ancora incerte, per questo il sacrificio di tanti uomini aveva una sua ragione, gli americani non erano ancora entrati in guerra, i tedeschi erano lontani.
La battaglia di Culqualber ci parla di integrazione fra italiani ed africani; se dobbiamo cercare dove stavano i razzisti bastava andare fra le truppe britanniche i cui comandi non si fecero scrupolo di versare abbondante sangue di popoli colonizzati. Le Camicie Nere furono soldati come tutti gli altri, non certo rivoluzionari viziati e privilegiati.
Il riconoscimento finale di tanto eroismo fu decretato da Papa Pio XII che stabilì la ricorrenza della patrona dei Carabinieri, la Virgo Fidelis, nel giorno del 21 novembre, quando i nostri sopravvissuti dovettero deporre le armi. Si dice che gli Inglesi avessero reso l’onore delle armi ai nostri uomini, non tutte le testimonianze coincidono. Ma l’eroismo di quella battaglia afferma di quale tempra fossero stati quegli uomini, uno per uno, tutti insieme, come recitò in un suo canto Filippo Tommaso Marinetti.