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Un nuovo meridionalismo è possibile? La diagnosi di Alfredo Mantovano

di Domenico Bonvegna
5 Agosto 2017
in Home, Società&Tendenze
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Un nuovo meridionalismo è possibile? La diagnosi di Alfredo Mantovano
       

 

 

Sul nuovo numero della rivista Cristianità (n. 385, maggio-giugno 2017) è stata pubblicata la relazione finale in merito a un convegno tenutosi a Lecce nel mese di aprile scorso dal titolo: “Dov’è finito il Sud? Ricollocare il Mezzogiorno nell’Agenda politica”. Relatore è Alfredo Mantovano, magistrato e esponente di spicco di Alleanza Cattolica. Mantovano è stato sottosegretario agli interni nei governi Berlusconi, inizia la relazione facendo riferimento all’incresciosa contesa scaturita dopo la visita a Napoli del segretario della Lega Nord, Matteo Salvini.

Alla visita hanno reagito i centri sociali in compagnia di “sudisti” di vario tipo, peraltro organizzando una specie di sit-in a Pontida, nel luogo simbolo della Lega Nord. Quello che è accaduto a Napoli e poi a Pontida è veramente triste, anche perché alla contestazione hanno partecipato elementi istituzionali come il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris.

Tuttavia “quello che è più triste in assoluto è che quando vi sono polemiche come queste la sostanza resta fuori”. E per Mantovano, “La sostanza qui, se si ha voglia di uscire dagli slogan e dalla demagogia, è che il tema del Sud è da anni assente dall’agenda politica nazionale […]”. Basta andare a consultare i siti istituzionali da quelli nazionali a quelli regionali per verificare la quantità e la qualità delle discussioni aventi per oggetto il Mezzogiorno d’Italia.

Mantovano prova a tracciare qualche proposta, qualche obiettivo per far risorgere il nostro Meridione d’Italia. Ne presenterò qualcuna, iniziando dal primo nodo che riguarda il Sud: la mancanza di confronto.

A cominciare del divario economico tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Infatti, nonostante la crisi, Lombardia e Veneto, “vantano standard di reddito pro capite superiori alla media europea, più che italiana”. E per questo che chiedono un’autonomia maggiore, compatibile con quella delle regioni a statuto speciale. Infatti a ottobre si terrà in Lombardia il referendum per l’autonomia.

Secondo l’ex sottosegretario, le regioni del Nord se hanno delle “condizioni medie di vita più elevate rispetto al resto d’Italia non è un dono di natura: è l’esito di un impegno diffuso che ha riguardato vari settori economici e sociali”. Infatti Mantovano ricorda che negli anni 50 a fare certi mestieri umili e di sacrificio in altre zone d’Italia era gente veneta. ”Da allora a oggi è cambiato tanto , e in positivo, grazie a scelte politiche che hanno generato sviluppo e a sforzi condivisi”.

Altro nodo da esaminare è quello dei fondi europei indirizzati verso le aree meridionali. “Vi è mai stato un dibattito serio sul perché Regioni ed enti territoriali al Sud riescono a utilizzare solo una piccola parte dei fondi europei indirizzati verso le aree meridionali?”. Oppure, “sul perché non si ci attrezzi né ci si munisca delle competenze che permettano di affrontare procedure e controlli obiettivamente complessi?” Inoltre, “sul perché si preferisca lamentare la carenza di risorse”, quando invece ci sono e per ottenerle occorre professionalità.

Per Mantovano, “la combinazione fra beni ambientali e beni culturali in tante città del Sud – in primis, Siracusa, Napoli, Palermo – appare altamente competitiva con quella di città importanti del Centro-Nord, come Ravenna, Pisa, Torino”.

Piuttosto il deficit delle città del Sud “sta nell’incapacità di attivare i mezzi che valorizzino il patrimonio di cui dispongono”.

Per quanto riguarda la formazione, Mantovano descrive il paradosso dell’Università del Salento, dove esistono diverse Facoltà, magari qualcuna inutile, visto che poi non offre sbocchi occupazionali. “In compenso mancano una facoltà di Agraria e un corso di laurea in Enologia, pur se una delle risorse primarie nel Salento è l’agricoltura, e in particolare la produzione di vini, anche di qualità […]”.

Altro nodo è quello dei trasporti nel Mezzogiorno, in particolare le ferrovie, ma anche quello aereo. Mantovano fa esempi che riguardano la sua Puglia, ma ognuno di noi può portarne altri che riguardano la propria regione.

Altro nodo è la tutela dell’ambiente del nostro Mezzogiorno, saccheggiato negli ultimi decenni dalla costruzione di “cattedrali nel deserto”, che hanno portato a deturpare il paesaggio e la salute degli abitanti, invece dello sviluppo del territorio. Si pensi allo stravolgimento della città di Taranto con lo stabilimento dell’Ilva, ma si possono fare altri esempi come Priolo, Augusta, Milazzo, o Gela in Sicilia.

Infine Mantovano accenna alla morsa della criminalità, che nonostante alcuni importanti successi, non fa decollare il Sud. Le mafie meridionali rappresentano uno dei principali handicap del Sud.

Tra le tante cose da fare il Sud, occorre recuperare la memoria storica. Effettivamente i territori del Sud si trovano in una condizione oggettiva di inferiorità rispetto al Nord dell’Italia, “ma questa inferiorità non è un dato di natura, non è esistita sempre, e quindi può mutare se vi è voglia di farlo”. Mantovano fa riferimento al 150° anniversario dell’Unificazione dell’Italia nel 2011. Un anniversario che poteva essere l’occasione per riflettere seriamente sulle varie questioni storiche, culturali, sociali ed economiche del Paese. L’occasione non è stata colta, quasi sempre è stata riproposta la “doppia e contrapposta retorica: da un lato l’apologia dell’evento unitario, dall’altro il vittimismo e il rivendicazionismo”.

Mantovano ricorda che insieme all’amore per la propria terra, serve anche la conoscenza, quindi il punto di partenza per amare il Sud, è quello di “interessarsi delle sue sorti con ragionevole passione, deve partire dallo sforzo di conoscere che cosa è stato il Sud d’Italia, e perché i problemi dei meridionali da una certa data in avanti sono cresciuti […]”. Bisogna fare un lavoro storico serio, “senza recriminazioni o nostalgismi, e quindi pure senza tratti caricaturali”. Sostanzialmente occorre capire perché, “non solo al Sud, l’Unità d’Italia non è ancora pienamente entrata nella memoria collettiva degli italiani”. Certamente per il magistrato, “ha sicuramente inciso il modo con il quale essa si è realizzata: per incorporazione forzata a uno Stato pre-unitario invece che per federazione fra gli Stati pre-esistenti. E’ stata una crudele guerra di conquista, con centinaia di migliaia di vittime fra civili”. Peraltro questa conquista “ha causato danni enormi, fra gli altri, sul piano economico […]”. Basta andare a consultare in Biblioteca, i giornali dell’epoca, quelli del Regno delle Due Sicilie. Certo accanto a sacche di enorme povertà e di arretratezza, il Regno di Napoli, conosceva importanti trasformazioni economiche nell’industria tessile, ma anche metalmeccanica.

Tuttavia Mantovano evidenzia che una “ricostruzione oggettiva di quanto è accaduto a cavallo del 1861 continua a essere vista da molti come un’aggressione revisionistica al fondamento sacrale della nazione: anche questo spiega perché non si sia colta l’occasione del 150° anniversario dell’Unificazione per quella che sarebbe stata una necessaria quanto salutare purificazione della memoria”.

Studiando bene, ci si convince che “l’Italia non nasce nel 1861”. Infatti “nei secoli antecedenti vi era quella che è stata definita una ‘nazione spontanea’, con una comune identità, fondata su cultura e principi comuni, sostanzialmente omogenei, e su un’articolazione sociale ricca e variegata, a cominciare dal Sud”. Secondo Mantovano prima dell’Unità, nonostante i confini di Stati differenti, esisteva la consapevolezza del comune destino dell’Italia, forse di più di quanto sia stata dopo il 1861. La conferma è “la risposta comune che nel corso dei secoli è stata data, superando le differenze fra ducati, principati e regni, alle aggressioni esterne – dapprima il pericolo saraceno, poi quello ottomano […]”.

Dunque, l’unificazione doveva avvenire diversamente, ora però spiega Mantovano, “la partita del Sud va giocata non contro il resto del Paese, bensì utilizzando al massimo le risorse di cui il Sud dispone e che spesso ha in sovrabbondanza”. Assolutamente non deve passare l’idea, che il Sud sia “una terra perduta nella quale è inutile investire: con ciò incrociando il sentimento di impotenza e di frustrazione che serpeggia in diverse comunità meridionali”. Serve una nuova speranza per il Sud, bisogna presentare le positive esperienze in ambito culturale, scientifico, imprenditoriale, civile e religioso, che pure ancora vi sono.

“Serve un nuovo meridionalismo, che recuperi la memoria storica e nel contempo rappresenti il Sud in modo non semplicistico”. In particolare bisogna essere convinti che il Sud, non è un “Nord mancato”. Il nostro Paese ha caratteristiche diverse rispetto per esempio alla Francia, siamo una realtà policentrica; la nostra caratteristica potrebbe identificarsi in una “unità nella diversità”.

Il nuovo meridionalismo deve mettere da parte quella enfatizzazione della Questione Meridionale, che ha portato, soprattutto dopo il dopoguerra, a quell’epoca in cui si affermò quel nuovo ceto politico locale che rivendicava ingenti provvidenze pubbliche, ponendosi come mediatore nella loro distribuzione. Pertanto per Mantovano occorre superare “quel blocco sociale regressivo che è cresciuto alimentandosi della spesa pubblica. Senza trascurare che nel ‘saccheggio’ della spesa pubblica per il Sud vi sono stati anche rilevanti interessi nazionali e dei sistemi industriali del Nord”. La Cassa del Mezzogiorno, la fallita industrializzazione del Sud, è stata un’esperienza mortificante non solo per il Sud ma anche per l’intera storia nazionale.

Mantovano nella relazione richiama tutti quei temi politici economici sul territorio meridionale, tante volte discusse. Il localismo è una sfida che va affrontata, soprattutto evitando di rinchiudersi, a guardare solo alle risorse esistenti nel territorio, “e a non guardare invece a quelle che possono essere trovate al di fuori o inventate ex novo”.

Un altro obiettivo per il Sud è il Federalismo, è la grande e irripetibile occasione per il Mezzogiorno. L’occasione per dimostrare che si vuole giocare fino in fondo la partita. E a proposito di federalismo, non può continuare quello che racconta Mantovano a proposito di un rettore di una università del Sud che non accettava i tagli lineari, (eravamo nel 2010) sulla propria università, difendendo l’esistente, che includeva corsi di laurea del tutto estranei alle esigenze di sviluppo del territorio di riferimento.

Tuttavia Mantovano conclude la sua relazione, descrivendo due esempi virtuosi di come il Sud potrebbe risorgere. Lo splendido museo archeologico di Ugento, a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca, e il Parco tematico nella località Grancia, sui monti lucani vicino Potenza, un grande affresco delle insorgenze antigiacobine e dell’invasione sabauda, raccontato all’aperto, nei fine-settimana estivi, realizzato con professionalità, coniugando rigore nella ricostruzione storica ed efficacia nel messaggio visivo.

 

 

 

 

Tags: Alfredo Mantovanounità nazionale
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