Buenos Aires, calle Florida, l’isola pedonale che attraversa cuore della capitale argentina e, in un tempo non lontano, la via più sfavillante della città. Dell’antica fastosità rimangono i grandiosi palazzi art nouveau, le maestose gallerie commerciali — “Pacifico” e “General Gumes” tra tutte — e la storica libreria Blanco frequentata da Victoria Ocampo e Jorge Luis Borges (vissuto per anni a qualche metro più in là). Ricordi di un passato opulento, colto, festoso. Irripetibile.
Oggi calle Florida è un susseguirsi di serrande abbassate e negozi di bassa qualità e ad ogni angolo, sotto gli occhi compiacenti quanto annoiati dei poliziotti, una folla di cambiavalute “fai da te” continua a sussurrare ai passanti «cambio, cambio, cambio». È il biglietto da visita dell’Argentina odierna, un Paese immenso, di straordinaria bellezza e di enormi risorse ma straziato da decenni di politiche nefaste — nove default consecutivi — e strangolato dai debiti (45 miliardi di dollari solo al Fondo Monetario Internazionale…).
L’emorragia cronica delle riserve di valuta straniera intrecciata al post pandemia e al rincaro globale dei mercati e sommata all’inflazione galoppante (entro la fine dell’anno raggiungerà il 99,6 per cento e nella prima metà del 2023 rimarrà sopra il 100 %) ha stravolto l’economia nazionale, terremotato definitivamente i tassi di cambio peso-dollaro/euro e innalzato spaventosamente i prezzi. Ufficialmente la moneta nazionale è quotata circa 150 pesos per un dollaro ma in realtà ovunque al mercato nero si cambia a 280-290.
Un disastro pieno che ha costretto Sergio Massa, nuovo ministro dell’Economia succeduto a Silvina Batakis (una meteora durata in carica solo un mese) ad elemosinare lo scorso settembre a Washington un nuovo oneroso prestito: la Banca interamericana ha accettato di aumentare i prestiti per un totale di cinque miliardi per il 2022 e il 2023. In cambio Massa si è impegnato a ridurre drasticamente la stampa di denaro e contenere la spesa pubblica. Promesse importanti ma difficili da mantenere. La coalizione di governo è attraversata da una durissima guerra intestina tra il presidente Alberto Fernandez e la sua spregiudicata vice Cristina Kirchner, vedova del defunto Nestor (presidente dal 2003 al 2007), poi a sua volta presidente tra il 2007 e il 2015.
Cristina, oltre che per l’ostilità alle politiche del FMI è celebre per la sua sfrenata passione per la spesa pubblica illimitata e per il suo “sistema” nepotistico e molto lucrativo. Un “vizietto” che le è appena costato una condanna a sei anni carcere per aver gestito un piano per dirottare fondi pubblici alla società di un amico di famiglia. In ogni caso, la signora, grazie alla sua alta carica, non finirà in galera e già si prepara all’ennesima ricandidatura…
Con queste premesse rimane arduo immaginare un risanamento o una ripresa. Eppure, dato paradossale, gli argentini d’ogni classe sociale e d’ogni età affollano i ristoranti e i teatri, corrono nei centri commerciali per acquistare televisori d’ultima generazione (i Mondiali di calcio sono una religione…), e in più viaggiano, sfruttando il bonus turismo del governo, in ogni angolo del Paese. Due milioni di spostamenti solo ad ottobre su una popolazione di 46 milioni d’abitanti.
Una follia, apparentemente. Ma a ben vedere è un esercizio di razionalità e resilienza: l’inflazione brucia i redditi e quindi che senso ha risparmiare? Meglio divertirsi, mangiare, ballare, volare a Calafate o Iguazù e spendere tutti i pesos possibili. Poiché “del doman non v’è certezza” è d’obbligo pensare all’oggi, vuotare i conti in banca e tenersi stretti i pochi o tanti dollari o euro racimolati al mercato nero.