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Un Paese sfiduciato diserta le urne e se ne frega della politica

di Domenico Bonvegna
23 Ottobre 2021
in Il punto
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Un Paese sfiduciato diserta le urne e se ne frega della politica
       

Il primo forte messaggio che giunge da queste lelezioni è il massiccio astensionismo, più un elettore su due è rimasto a casa e non crede più nella partecipazione al voto. Questo significa che la democrazia è in crisi, molto più profonda di quanto non si voglia far credere. Il centrosinistra esulta come se avesse stravinto i ballottaggi. Ma ricordo che i nuovi sindaci di Roma e di Torino sono stati eletti con il 20, il 22 per cento del totale degli elettori. Il centrodestra, che sperava di strappare alla sinistra qualche città come Torino e Varese, deve accontentarsi di confermare Roberto Di Piazza alla guida di Trieste. Oltre al crollo del numero dei votanti c’è la quasi scomparsa dei Cinque Stelle, che conservano piccolissimi comuni del sud ma perdono Roma, Torino e sono ininfluenti sui successi dei candidati del Pd.

L’astensionismo per il secondo turno com’era prevedibile è aumentato. Dei circa cinque milioni di elettori chiamati alle urne, si è presentato ai seggi solo il 43,94%, circa il 9% in meno del primo turno, che peraltro era già stato un turno misero sul piano partecipativo. Ha ben individuato il motivo dell’astensionismo record Federico Punzi, curatore del giornale online atlanticoquotidiano.it, “l’astensionismo record, si debba non ad una disattesa richiesta di adesione convinta ai vaccini e al Green Pass, e in generale di “moderazione” nel segno dell’europeismo, ma al riflusso di disillusione e rassegnazione, in un’ampia fetta di elettorato, per la compiuta normalizzazione del Movimento 5 Stelle e per quella – in corso – della Lega.

Il primo quasi sparisce, la seconda arretra. E guarda caso sono le due forze politiche che in questi mesi hanno più mutato la loro identità. Forze politiche che avevano costruito i loro successi elettorali su una avversione radicale all’establishment e una profonda critica all’Ue. In un batter di ciglio, i 5 Stelle si sono messi al servizio di quell’establishment. Inizialmente, nel biennio 2019-2020, la Lega se ne è avvantaggiata, intercettando in parte i grillini delusi, ma pochi mesi dopo ha iniziato lo stesso percorso alla corte di Draghi. Un trasformismo nei palazzi che si trasforma in sfiducia e astensionismo nelle urne”. Pertanto, per Punzi, “Al di là di ogni giudizio di merito, queste mutazioni nei due partiti che più di ogni altro avevano dato voce a istanze di cambiamento così radicali, hanno rafforzato nei loro elettori la percezione, già presente, della totale inutilità del voto: votare per proposte politiche diverse dal Pd e i suoi satelliti non serve a incidere sulle decisioni dei “palazzi”, sull’azione di governo. Perché andare a votare se c’è comunque il “pilota automatico” inserito?” (Federico Punzi, Le ragioni della sconfitta del centrodestra non sono quelle che fanno comodo alla sinistra, 19.10.21, atlanticoquotidiano.it).

Oltre a queste motivazioni, occorre sempre segnalare che è in crisi proprio la stessa democrazia, “In effetti la grande crisi della democrazia sta proprio nell’assenteismo. Se è vero che i comuni sono il livello più vicino al cittadino, se è vero che la legge elettorale per i comuni è la più funzionale perché consente di avere subito un vincitore che poi governa stabilmente, a meno di incidenti di percorso, per cinque anni, non si capisce perché la gente non si sia sentita particolarmente motivata ad andare a votare”. (Ruben Razzanti, L’astensionismo premia i sindaci di centrosinistra, 19.10.21, lanuovabq.it).

Probabilmente anche la pandemia ha contribuito a spegnere il già tiepido entusiasmo verso la politica, ma per guidare la ripartenza del Paese dopo il Covid è necessaria una classe dirigente all’altezza, tanto al centro quanto sui territori. Sarebbe un errore fatale ignorarlo. Certo Letta e compagni possono esultare, hanno vinto, qualcuno la definisce una vittoria di Pirro. Tuttavia, il non voto, ha penalizzato sicuramente il centrodestra.

Per quanto riguarda gli sconfitti, il Centrodestra, “era già tutto previsto”, aveva scritto Marco Valle dopo il primo verdetto amministrativo di Milano, soprattutto per gli altri duelli. Ma per Milano si poteva fare di più: “La gente è sconcertata, si poteva vincere a mani basse ma si va verso una sconfitta a mani alzate”, aveva detto il povero Luigi Amicone. In pratica, “Matteo Salvini ha compiuto il miracolo di far risorgere il Pd e illuminare il mesto Enrico Letta d’immenso “riformismo”.

I numeri di Milano sono impietosi per Valle, “un sindaco eletto di strettissima misura nel 2018 che chiude la partita al primo turno con un sonoro 57,37 per cento (178.818 contro 99.621). Uno schiaffone nella città che fu di Berlusconi, Albertini, Moratti, Formigoni (e di Salvini e La Russa)” (Marco Valle, Milano capolinea del centrodestra, 12.10.21, destra.it).

Tuttavia, ad aiutare, sostenere, rilanciare il mesto Letta e il Pd, certamente non è stata un’avanzata clamorosa di popolo “ma la mancanza di concorrenti credibili e l’avanzare del disincanto misto a rassegnazione. Una replica delle elezioni regionali francesi dello scorso giugno che (causa l’assenza di 2 gallici su tre), precipitarono la favoritissima Marine Le Pen nell’irrilevanza (fatti poi a fidare dei sondaggi, sempre assegni post-datati…). Come in Francia la “pancia” o/e la “testa” dell’elettorato destrista e simil moderato è rimasto a casa”. (M. Valle, Il Pd ha vinto. Ma perché i destristi hanno perso? 19.10.21, destra.it).

Anche se lo abbiamo scritto, ormai da anni, la tendenza, ovunque nel mondo occidentale, vede i grandi centri urbani votare a sinistra e la destra scarsamente competitiva. Un po’ovunque i partiti conservatori non riescono nemmeno a toccare palla nelle grandi città. Molto si è parlato della debolezza dei candidati del centrodestra, come Michetti di fronte a Gualtieri. Per Punzi, “L’errore qui è stato piuttosto quello di voler inseguire la sinistra, con un decennio di ritardo, sulla moda dei candidati “civici” e “tecnici””.

Invece servivano candidati politici, e non per forza Salvini e Meloni. “Non sappiamo dire se la rinuncia a candidature politiche derivi da una carenza di classe dirigente o da una sudditanza psicologica, quasi che per ricevere la patente di presentabilità i partiti di centrodestra non possano presentarsi con i loro volti […]”. Probabilmente il centrodestra non ha saputo mobilitare il proprio elettorato, così come è stato capace il centrosinistra, “sfruttando al massimo l’assist del Viminale – giocando la sempreverde carta dell’antifascismo. Se non riesci a trasmettere entusiasmo ai tuoi, il senso di una battaglia che valga la pena essere combattuta, una vera posta in gioco, non vai da nessuna parte, anche se convinci qualche indeciso al centro”. E poi ci sarebbe molto da dire sul perché sono completamente scomparsi i principi “non negoziabili” (vita, famiglia, libertà scolastica) dal dibattito politico.

Certamente in queste elezioni ha pesato la disarticolazione del centrodestra, due pezzi fanno parte del governo Draghi e un pezzo all’opposizione. Serve chiarezza, sia a livello locale che nazionale, non si può governare con la sinistra e poi lamentarsi. Come fa la Lega, con la sua ambiguità di partito di lotta e di governo, finendo probabilmente per scontentare gli elettori di entrambi gli orientamenti, esce fortemente ridimensionata.

Una situazione che alla lunga non può non generare confusione e minare la credibilità stessa della coalizione. Ma la linea cosiddetta “sovranista” esce sconfitta? A guardare bene i numeri dei tre partiti non sembra, anzi: Forza Italia in caduta verticale, dal 3 per cento di Roma (insieme all’Udc) al 7 di Milano. La Lega lontana dalle percentuali di politiche ed europee. L’unico della coalizione che ha tenuto, anzi è cresciuto in termini percentuali, è Fratelli d’Italia. Anche se il “suo” candidato ha perso, ma a Roma il partito della Meloni correva praticamente da solo.

A urne chiuse, ora il centrodestra, non si può non fare una riflessione profonda sulla classe dirigente, probabilmente, troppo modesta e sul progetto politico. Forse non si è capito che dopo la pandemia, il Paese è cambiato, “la pandemia ha incrinato e reso obsoleti cento anni di conquiste sindacali, – scrive Valle – modificato la cultura del lavoro, le gerarchie dei bisogni e delle necessità, stravolto l’economia mondiale. Una destra seria si occuperebbe di questo come della desertificazione di diritti e rapporti umani […] Varrebbe la pena, tra le tante cose, di occuparsi di quello che succederà al commercio dopo che pure gli over 80 hanno scoperto che possono ordinare qualsiasi cosa da casa senza passare per un negozio. Il virus segna il trionfo di Amazon e mostri similari e la morte annunciata di un comparto vitale (ben più importante dei no vax e dintorni) del sistema Italia”.

Tags: astensionismoelezioni
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