Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1888 da padre lucchese impiegato come operaio sul canale di Suez, morto solo due anni dopo. Nel 1912 il poeta lasciò l’Africa con il suo cosmopolitismo esotico, per trasferirsi a Parigi, dove studiò alla Sorbona per un paio d’anni le lezioni di Bergson, senza però laurearsi in filosofia, ma frequentando creativamente ed intellettualmente le avanguardie storiche animate da Apollinaire, Picasso, Soffici, Papini, Palazzeschi, Marinetti e Boccioni. Interventista allo scoppio della prima guerra mondiale, combattente sui fronti del Carso e in Francia sullo Champagne. A guerra vinta e finita tornò nuovamente a Parigi, dove soggiornò sino al 1921, impiegato presso l’Ambasciata italiana e corrispondente per il “Popolo d’Italia” diretto dall’amico Benito Mussolini che nel ’23 fu il prefatore della nuova edizione de “Il Porto Sepolto”.
Nel 1925 firmò il “Manifesto degli intellettuali fascisti” e, dopo le nozze con Jeanne Dupoix, si trasferì a Roma lavorando al Ministero degli Esteri e collaborando con la “Gazzetta del Popolo”. Dal 1936 insegnò letteratura italiana presso l’Università di San Paolo in Brasile, ma la serenità venne spezzata dalla morte del figlio, il piccolo Antonietto. Nel 1942, con l’entrata in guerra del Brasile a fianco degli alleati, fu costretto a tornare in patria dove fu nominato Accademico d’Italia e per “per chiara fama” professore di Letteratura contemporanea all’Università di Roma. Nel 1944 il poeta venne “epurato” dal governo monarchico per la sua adesione al regime; fu reintegrato, grazie al ministro democristiano Guido Gonnella, nel 1947 ed insegnò alla Sapienza sino al 1965.
Ungaretti esordì in versi su “Lacerba” nel 1915, “Il Porto Sepolto”, stampato in sole ottanta copie ed esordio in libro, uscì a Udine l’anno seguente. L’opera fece così da base, per essere poi ampliata nel 1919 assumendo il titolo: “Allegria di Naufragi”, edito a Firenze da Vallecchi, per adottare la versione definitiva tra il 1931 e il 1942, denominata e semplificata in “L’Allegria”. Nel 1933 era uscita la silloge poetica “Sentimento del Tempo”, mentre “Il Dolore” è del 1947. Ancora “La Terra Promessa” (1950), “Un Grido e Paesaggi” del 1952 e il “Taccuino del Vecchio” (1960), nove anni dopo fu edita la raccolta completa delle sue opere: “Vita di un Uomo. Tutte le poesie”. Nel 1974 fu stampato “Vita d’Un Uomo. Saggi e interventi”. Ungaretti è anche ricordato in qualità di traduttore di autori quali: Shakespeare, William Blake e Racine.

La sua opera è collocabile senza forzature nell’area artistica, culturale e letteraria simbolista, crepuscolare e futurista. Se Gabriele D’Annunzio chiude formalmente l’Ottocento, Giuseppe Ungaretti lo farà sostanzialmente per mezzo della frantumazione metrica, aprendo definitivamente il XX secolo in modo nuovo, sperimentale e originale, sempre nel solco della tradizione europea e soprattutto italiana. La parola poetica deve essere formalmente ultramoderna ma per caricarsi di contenuti semanticamente ed essenzialmente originari. La guerra solo apparentemente è una inutile strage (per quanto ci riguarda la Prima Guerra Mondiale era inevitabile, la seconda evitabile) ha infatti una sua metafisica, ponendo gli uomini su un piano avverso alla pace ma allo stesso tempo comprendendola e comunque certificandola. La guerra e la pace non sono veritiere ma reali.
Tra le due guerre Ungaretti ottimizzò, consolidò quanto scritto da noi sopra, ritornando talvolta anche alla metrica tradizionale italiana, della quale l’endecasillabo ne è senza dubbio il miglior esponente. L’ultimo Ungaretti approfondisce ancora di più il valore della parola accuratamente evocativa con analogie interne, prevalentemente in modo “indicativo imperfetto”, in una sorta di post ermetismo caratterizzato da analogie ellittiche e criptiche. L’opera finale assunse sempre più, con l’avanzare degli anni e dell’età del poeta, un carattere diaristico e barocco.