Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 il principe Junio Valerio Borghese poté almeno contare su una colonna di militi della Guardia Forestale – e qualche decina di militanti delle formazioni della destra radicale – nel tentativo di mettere in atto un golpe che naufragò nel volgere di poche ore per decisione del suo stesso capo, con il consueto codazzo – comune a molte italiche vicende – di misteri, omissis e scene da opera buffa. Molto peggio è andata, però, ad un altro aristocratico con aspirazioni golpiste, o meglio putschsciste considerato che siamo in Germania.
Il principe di Reuß Heinrich XIII, infatti, le truppe destinate a prendere d’assalto il Bundestag e ad occupare alcune infrastrutture strategiche – agenti di polizia, militari della Bundeswehr e riservisti – ha solo potuto immaginarle mentre, insieme ad altri aspiranti golpisti, metteva a punto i piani destinati a rovesciare il governo di Berlino e ad offrire alla Germania una nuova, radiosa prospettiva grazie all’insediamento di un governo provvisorio (con alcuni aspiranti ministri che ora sono nella scomoda posizione di indagati) che si sarebbe richiamato alla tradizione storico-politica del Reich del 1871. Piani e sforzi vanificati dall’operazione “Kangal”, un blitz che ha visti impegnati oltre 3mila uomini di polizia e servizi segreti, impegnati a perquisire oltre cento tra abitazioni e locali, arrestando 22 persone. Un’altra trentina è stata denunciata per aver dato vita ad un’organizzazione eversiva.
Sono finiti così i sogni rivoluzionari del principe di Reuß, insieme all’organizzazione – nota come Der Rat (il Consiglio) o Patriotische Union (Unione Patriottica) – che avrebbe dovuto realizzarli. Benché le autorità abbiano definito il gruppo come estremamente pericoloso – soprattutto per la presenza al suo interno di ex militari, anche appartenenti a reparti speciali – la possibilità che questo potesse passare dalla pianificazione all’azione sono sempre state remote, considerata la mancanza di mezzi ed organizzazione.
Piuttosto le criticità messe in evidenza dall’indagine dei servizi di sicurezza – e vero campanello d’allarme per le autorità di Berlino – sono rappresentate in primis da un senso di scollamento dalle istituzioni sempre più diffuso in alcuni settori della società tedesca e in diversi Länder del Paese, ad iniziare dalla Baviera e dalle regioni dell’ex DDR. Senza poi tralasciare la permeabilità delle forze armate e di polizia – in particolare dei reparti di forze speciali – alle sirene della destra radicale tedesca, nelle sue diverse articolazioni; tanto da costringere i vertici militari a riformare più e più volte reparti ed unità delle forze speciali perché caratterizzati dalla presenza di militari simpatizzanti della destra radicale.
L’operazione “Kangal” apre, inoltre, un interessante squarcio su quella magmatica realtà costituita dai Reichsbürger, movimento fluido che si fonda sul non riconoscimento dell’assetto istituzionale nato nel 1945, rivendicando la continuità con il Reich bismarckiano. Movimento dalle molte sfaccettature, incluse quelle più violente.
La locomotiva tedesca, dopo essere stata bruscamente destata dal suo sonno post-storico dall’esplodere della guerra russo-ucraina, si scopre ora internamente più fragile di quanto immaginasse. Del resto le ripercussioni economiche del conflitto hanno probabilmente rappresentato la classica goccia che fa traboccare il vaso, mettendo in discussione – se non ancora in crisi – il patto non scritto su cui si fonda la Repubblica Federale: benessere in cambio di tranquillità sociale.
Il modello Merkel – che di questo binomio è stata la massima espressione, anche a costo di scaricare gli oneri sugli “alleati europei” – è definitivamente tramontato.