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Un sogno, una speranza. Vent’anni dopo

di Massimo Corsaro
2 Dicembre 2014
in Il punto
3
Un sogno, una speranza. Vent’anni dopo
       

Ho fatto un sogno. Donne e uomini della comunità antica erano giunti – da ogni parte d’Italia – dove tutto cominciò, venti anni prima.
Si salutavano, scherzavano, ricordavano aneddoti di una vita; cercavano – senza confessarlo – di parlarsi con frenesia e senza sosta per evitare che, nel silenzio, prendessero forma i fantasmi della diaspora che da qualche tempo li aveva allontanati, a volte addirittura resi ostili. Sapevano tutti che nessuno era privo di colpe, ma non vi era chi avesse la forza di riconoscerlo prima degli altri.
C’era quello che non s’è mai mosso, e si è spacciato come custode dell’idea; chi ha provato a creare una zattera per navigare in mare aperto, mischiando le proprie acque alle altrui, per poi provare a riguadagnare il porto amico; chi è salito su altri vascelli; chi ha riguadagnato la riva a nuoto e lì è rimasto, incredulo e sfiduciato.
Tutti con l’inconfessato rimpianto di aver taciuto, quando il vecchio comandante prese la direzione degli scogli; qualcuno ancora che non si da pace perché – avendolo percepito anzitempo – non ha saputo convincere gli altri che la rotta era sbagliata, e che per non ammutinare l’Idea era il caso di cambiare la guida.

Poi, d’improvviso, sul palco apparvero i vecchi condottieri, le luci si abbassarono, le voci si smorzarono. C’erano tutti, per la prima volta da tanto, da troppo. Il tempo ne marcava i volti, le sconfitte ne segnavano l’espressione, la responsabilità ne restituiva la fierezza.
Vi abbiamo chiamati qui – dissero all’unisono – perché una Storia non può finire per l’egoismo di chi non vuole che altri ne scrivano nuove pagine. Vi abbiamo voluto tutti, per dirvi che la nostra nave c’è ancora, che gli strumenti di navigazione sono stati conservati, che il nostro porto è intatto.
Siete stati convocati perché vogliamo credere che a voi sia facile ciò che a noi non è riuscito: superare rancori e gelosie; attardarsi a cercare – o schivare – le colpe del naufragio. Pensiamo che la vostra voglia di futuro vi possa garantire l’entusiasmo per lucidare a nuovo gli ottoni e tornare a navigare, sfidando i venti avversi, alla ricerca di altri equipaggi e altre navi che insieme alla nostra, alla VOSTRA, sappiano formare una flotta e riprendere la rotta.
La nostra corsa finisce qui, perché non si può essere condottieri di ogni battaglia. Sappiamo di avere mancato, quando nostro compito era preservarvi dagli errori di colui che vi avevamo insegnato a seguire. Ma abbiamo l’orgoglio di avervi cresciuti, fatti innamorare della nostra Via, resi capaci di confrontarvi ed affermarvi, di spiccare per onestà e competenza, di conoscere il valore di una parola data.
Il nostro amore per voi è stato sempre forte, come quello che lega il padre ai figli prediletti; ma è stato anche così intensamente ricambiato che voi stessi, a cagione delle nostre discussioni, avete finito per separarvi. Ma le nostre storie intrecciate, i livori incrostati dal tempo, non possono essere l’eredità che vi lasciamo. Non devono impedirvi di prendere il testimone.
Oggi noi scendiamo dalla tolda che – anche grazie a voi, al vostro sostegno ed al vostro lavoro – abbiamo a lungo occupato. Ma perché non sia triste il nostro congedo, coltiviamo la speranza che questo invito non sia vano. Ci aspettiamo che voi, tutti assieme, vogliate risalire sulla nave e riportarla là, DOVE ERAVAMO RIMASTI.
Per ogni consiglio, per ogni conforto, ci troverete sempre in sala macchine ad alimentare – finché ne avremo le energie – la conservazione dei valori e la forza delle idee.

Le donne e gli uomini dell’antica comunità rimasero sgomenti, alle parole dei grandi vecchi. Si guardarono negli occhi, spesso lucidi, e trattennero a lungo il fiato.
Poi capirono che QUELLA era la chiamata, che lo dovevano alla loro storia, a quella di chi senza di loro non ne avrebbe ereditata una. E si, lo dovevano anche a quei vecchi che li svezzarono, li crebbero e li resero marinai votati all’impegno, alla difesa dell’identità, alla costruzione di un futuro migliore.
Si svestirono delle giubbe variopinte con cui erano arrivati, ed indossarono una stessa casacca, la LORO. E presero posto sulla vecchia e gloriosa nave, senza gerarchie, senza discutere del passato, dimentichi di ciò che li separò, fieri di quanto li ha sempre uniti.

Mi sono svegliato, emotivamente scosso ma fortemente deluso per il ritorno alla realtà.
Ma un uomo vive anche di speranze, e tra due mesi c’è un ventennale. Hai visto mai….

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Commenti 3

  1. Maurizio Sisca says:
    8 anni fa

    Siamo alla deriva e in pochi se ne sono accorti. Tutta colpa di capi, specie di un Capo ingrato, che non hanno seguito l’Idea ma solo se stessi e il desiderio di affermarsi. Risultato: un mondo si è frantumato, disperso, annichilito. Possiamo riprendere il cammino? Forse, dipende sempre da tutti noi e da cosa vogliamo realizzare. L’Idea c’era, con solide radici e prospettive incoraggianti per il futuro. Che i vari capi facciano un passo indietro e si riprenda il progetto di alternativa lasciato cadere qualche mese prima di Fiuggi.Il resto verrà da sè.

    Rispondi
  2. Fabio Andriola says:
    8 anni fa

    Se proprio bisogna ritrovarsi non si può almeno scegliere un posto diverso da Fiuggi?

    Rispondi
  3. Cerullo Pietro. says:
    8 anni fa

    Purtroppo non ci sono grandi vecchi. Mi auguro che siate giovani di valore!

    Rispondi

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