Ben lontano, per dirla con Manzoni, da atteggiamenti ribaldi o donchisciotteschi, Giulio Tremonti discute e formula ipotesi sul futuro dell’Europa, riassunte e raccolte, come non mai, in modo centrato, nelle pagine conclusive.
L’imminenza del voto ha riacceso il dibattito, sul quale sono a lungo mancate analisi serie e ci si curati unicamente di demonizzare i critici o anche i perplessi del sacro ed enfatico fuoco dell’europeismo.

Ad esempio qualcuno, senza perdere una timidezza, assai simile ad una sudditanza, ha sottolineato l’opportunità di spazi maggiori per la lingua italiana nell’Europa mentre altri, con spocchia profonda quanto inconcludente e semplicistiche e perentorie censure, hanno ammonito ad evitare il populismo. Ha impiegato non poco , ma “a tempo quasi scaduto” Panebianco si è accorto, pur con una valutazione parziale, che “i movimenti anti-europei […] sono il frutto di tutto ciò che non va nell’Unione europea così come è oggi”.
Una riflessione adeguata merita l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, sulla necessità, troppo a lungo rinviata o debolmente sostenuta, della tutela delle radici etniche e spirituali del Vecchio Continente, offuscate e vilipese da una allucinante laicizzazione delle istituzioni.
Per tornare a Tremonti, il suo nuovo saggio, pubblicato per i tipi della casa editrice del “Corriere della Sera”, è agile (appena 174 pagine) con caratteri tipografici e ben suddivisi, ma nello stesso tempo denso e di grande sostanza su temi pressanti, fondato sull’attualità ma con abbondanti richiami storici e l’accenno a situazioni essenziali ma estranee o poco avvertite dalla conoscenza comune.
Lo spazio più ampio nel volume è attribuito a tre profezie: a quella di Marx sulla globalizzazione, a quella di Goethe sulle “realtà inventate” e “i mondi virtuali” mentre la terza è colta dalle pagine trascurate del leopardiano “Zibaldone di pensieri”.
Negli scritti del “gigante di Recanati” Tremonti individua riflessioni, allora originali, oggi “fondamentali”, che provano l’inutilità degli inni e delle bandiere sventolate in Italia in tutti gli edifici pubblici: “Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l’amor patrio di Roma divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu patria di nessuno e i cittadini Romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto”.
“Converrà riprendere il discorso sulle nazioni e sull’Europa, sull’egoismo […]. La patria moderna dev’essere abbastanza grande, ma non tanto che la comunione d’interessi non vi si possa trovare, come chi ci volesse dare per patria l’Europa. La propria nazione con i suoi confini segnati dalla natura, è la società che ci conviene”.
Il professore lombardo anticipa una disamina, condivisa in questi giorni da Emilio Gentile. Per Tremonti “la fuga nell’impolitico, l’astensione e il controvoto, sommati tra loro, prevalgono di gran lunga sul voto, annunciando così il principio della fine della democrazia”. L’altro cattedratico, ugualmente a riposo, nel ridicolizzare l’allarme antifascista, mostra preoccupazione, invece, per il crescente astensionismo, con cui i cittadini dimostrano di sentirsi “sempre meno rappresentati”. Gentile non manca di cogliere la logica, solo apparentemente o forse ufficialmente contrapposta, in campo federalista tra Salvini, Zaia e Fontana, al momento nei guai.
Sopra si è accennato al taglio ed al peso dell’epilogo. Tremonti fissa giustamente delle pietre miliari, di gran lunga più efficaci e più serie di mera alchimia parlamentare escogitate da Berlusconi. Eccole:
“Per diventare europei non dobbiamo dimenticare di essere italiani”. “Per restare in Europa, per migliorarla, non dobbiamo rinunciare a essere italiani. Anzi!”. “Oggi l’Europa dovrebbe e potrebbe concentrarsi soprattutto su ciò che è essenziale e popolare: sulla difesa, sulla sicurezza, sull’ intelligence”. “Se oggi il problema dell’Europa è quello di una nuova era che si apre, allora è arrivato il momento per alzare la bandiera dell’orgoglio, uscendo dal paradosso suicida per cui un continente, più è importante nel mondo – come l’Europa – più deve essere debole”. Una debolezza – sia consentito aggiungere – intesa come sudditanza al falso globalismo, determinato dalla trimurti USA – Russia – Cina.
GIULIO TREMONTI, Le tre profezie. Appunti per il futuro, Milano, Solferino, 2019, pp. 174. Euro 16,00.