Salvo (Aldo Baglio), siciliano milanesizzato (si vanta di non essere un “giargiana” e di rifuggire le “terronate”), ha aperto una pizzeria di successo, che dirige con la moglie Teresa (Lucia Ocone). In cucina sta il figlio minore Enzo, che pensa soltanto a diventare un musicista trap, mentre la maggiore, Emma, è ad Amsterdam per un master. Alla moglie e ai figli Salvo ha nascosto quasi tutto del proprio passato: dall’imbarazzante tentativo di diventare un cantante neomelodico sino all’esistenza d’un fratello minore, Lillo (Giovanni Calcagno), gigantesco contadino con scarpe grosse e cervello fino, rimasto in Sicilia nel podere del loro padre-padrone e rancoroso. Il sequestro della pizzeria da parte dell’agenzia delle entrate, in concomitanza con la morte del padre (che intanto manda segnali a Salvo in sogno), costringono Salvo a tornare in Sicilia, ad affrontare la sua coscienza e a chiarire tutto con la famiglia.
A seguito di screzi (presto rientrati) nel terzetto comico più celebre d’Italia (Aldo & Giacomo accusavano Giovanni di monopolizzare la fase d’ideazione di film e sketch), già nel 2019 Aldo Baglio aveva girato il suo primo film da protagonista senza gli amici e colleghi Giacomo Poretti e Aldo Storti: “Scappo a casa” (diretto da Enrico Lando, già ideatore dell’orribile serie di gag televisiva “I soliti idioti”, dei quali ha poi diretto i due film). L’anno successivo Aldo, Giovanni & Giacomo hanno ritrovato il regista dei loro primi trionfi al botteghino, Massimo Venier, per “Odio l’estate”: film mediocre (a tratti cretino), ma qualche passo in avanti rispetto a pastrocchi come “Il ricco, il povero e il maggiordomo”.
Intanto Giacomo è a teatro con la seconda moglie (la psicanalista Daniela Cristofori), mentre Giovanni ha esordito da attore drammatico (“Le voci sole”). Come già successo per “Scappo a casa”, Baglio ha sceneggiato il film insieme a Morgan Bertacca e Valerio Bariletti.
“Una boccata d’aria” è un film simpatico, con i suoi difetti: Lucia Ocone, comica di gran vaglia, è sprecata in un ruolo senza identità (per quanto faccia la voce grossa, Teresa è soltanto sballottata fra i guai del marito e le rivelazioni della figlia); i figli sono due luoghi comuni (lui l’ennesimo ragazzino milanese ossessionato dalla musica trap, lei studentessa all’estero, promettente e tanto bellina, che si fa compromettere dall’immancabile levantino fanfarone e parassita); tutto succede in maniera troppo semplice (non facile: semplice), basta una firma per questo e quello; non manca (come già in “Come un gatto in tangenziale”, che includeva un autentico spot) la marchetta europeista (“ci sono i fondi…”). Il film è un attimo rinunciatario, in almeno due momenti (il compleanno dell’avvocato “amico”, Teresa nella sauna con le amiche) mette nel mirino la Milano ricca e analfabeta della Generazione Y più fighetta e stupida (quella degli apericena e dei rapper, di Corso Como e di Instagram, dei social media manager e delle discoteche frequentate dai calciatori): poi lascia perdere.

Forse meglio così: si evita la banalità della contrapposizione manichea tra città e campagna, tra modernità e piccolo mondo antico, tra cosmopolitismo e strapaese. Salvo/Aldo torna in Sicilia, e di Milano chissenefrega. L’importante è la commedia, che c’è, garbata (senza i soliti versi che Baglio ha ripetuto in tutta la carriera col terzetto, su tutti il celeberrimo urlo “mii” con le mani a V agitate sotto il mento).
“Una boccata d’aria” è come il suo titolo (un po’ troppo somigliante a quelli di Zalone: per esempio, “Che bella giornata”), un film fresco e semplicissimo, una piccola e gradita sosta mentre tutt’attorno il cinema italiano attraversa un momento di confusione (tra il ritorno dei mai domi drammi salottieri radical chic – i vari Moretti Luchetti Soldini non mollano mai – ed esperimenti hollywoodiani tanto dispendiosi quanto confusi: la stagione felice di film ambiziosi come “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Veloce come il vento” ha lasciato spazio a episodi meno convincenti; sullo sfondo, i kolossal pretenziosi alla Sorrentino attirano un’attenzione motivata chissà da cosa). Confusione e tanto, tantissimo rumore. Il film è scritto bene, sono tutti bravi, qualcuno bravino; anche lo stereotipo del paesino siciliano sonnacchioso e assolato è armonico. Funziona tutto, è un film compatto e sereno.
Curiosità: in un altro film uscito questo stesso anno (“Lamb”) i personaggi guardano una VHS con la testimonianza dei trascorsi canterini d’uno di loro.