Le interviste rilasciate in questi giorni a “Il Giornale”, da due qualificati politologi, per una volta e, grazie al cielo, non di sinistra, suscitano non poche perplessità e consistenti interrogativi.
Nei passaggi iniziali Giovanni Orsina, direttore della “Luiss School of Governement” eleva una lode immeritata e infondata alla prima Repubblica, capace di costruire “una grammatica” e di fissare “delle regole che disciplinavano i conflitti politici”, inseriti “all’interno di un quadro internazionale che rappresentava un elemento di stabilizzazione”. L’intervistato non può fare a meno di ammettere che “oggi è il contrario, c’è un quadro internazionale che destabilizza e non abbiamo più alcun tipo di grammatica per regolare i conflitti politici interni”.

Orsina però non individua le ragioni e non denunzia le responsabilità dei mutamenti. Esse nascono e sono alimentate dalle radici fragili e superficiali della politica precedente, egemonizzata da due partiti, privi di senso dello Stato e del concetto di Nazione, attenti solo alle loro clientele e alla crescita di un soffocante settarismo. Ugualmente l’Europa, dopo i generosi sogni del padri fondatori, ha subito i piani egemonici della rinata Germania e della Francia, sa sempre e solo arrogante.
Senza un riferimento esplicito Orsina cita il metodo della democrazia diretta, usato dai grillini “per prendere le decisioni”. A questo scottante obiettivo, sottovalutato da tanti, mirano con la demagogica misura della riduzione dei parlamentari, che consentirebbe il risparmio risibile di 500 milioni e ridurrebbe il ruolo e la presenza della Camera e del Senato nel Paese.
Radicale è la disapprovazione verso il progetto di sterilizzare e di incapsulare leghisti e “forzaitalioti” agli ordini dell’ormai tramontato Berlusconi, delle sue mire ufficiali e più pericolosamente ufficiose e delle sue mai sopite ambizioni e tentazioni egemoniche. Orsina poi inutilmente risfodera la fastidiosa ed anacronistica etichetta di “fascisti”, lontano dal considerare che a destra – di Salvini e delle sue legioni non interessa nulla – gli elettori non hanno dimenticato l’esperienza fallimentare del PDL e in percentuale non scadente sono decisamente astensionisti.
A proposito di “fascismo”, regime terminato 75 anni or sono, sarebbe il caso che uno studioso attento ed equilibrato, qual’è Giovanni Orsina, studiasse e poi spiegasse le ragioni per le quali, accanto alle sacrosante commemorazioni, tra le altre, delle Ardeatine, di Stazzema e di Fivizzano, i presidenti della Repubblica non abbiano mai trovato tempo di partecipare alle celebrazioni delle decine di migliaia di morti innocenti, vittime dei bombardamenti americani. Solo nella mia città, Tivoli, il 26 maggio 1944 se ne sono contate circa 480.
Nelle altre dichiarazioni, raccolte sempre da Riccardo Pelliccetti, il docente di Scienza politica e politica internazionale presso l’Università di Perugia, Alessandro Campi, per anni collaboratore di Fini, ritorna di nuovo sull’operazione aggregatrice (recte assorbitrice e soffocatrice) del PDL, conclusa in modo lacrimevole per totale responsabilità di Berlusconi, egolatra come pochi, privo di cultura politica, preoccupato unicamente degli interessi delle sue aziende. Campi ha ragione sulla durata cronologica della coalizione di centro – “destra”, non sulle realizzazioni limitate e molto spesso marginali. La pressione asfissiante di Berlusconi ha consentito solo manovre e decisioni strumentali, a totale discapito della Destra, il cui unico risultato tangibile fu l’introduzione della “Giornata del Ricordo”.
Suscita profondo dissenso il suggerimento offerto a Salvini, e di sicuro sdegnosamente rifiutato, per il varo di un “partito conservatore di massa”. I suoi seguaci rigettano qualsiasi obiettivo unitario e socialmente aperto, tesi alla realizzazioni di sistemi autonomistici sempre più polverizzatori, totalmente allergici ad una coralità nazionale. Nella scienza giuridica romanistica esiste una massima perenne quanto inascoltata nella nostra espressione geografica, sia con la I come nella II Repubblica e figuriamoci con l’accozzaglia grillino – leghista: “Res publica, aeterna salus”.
Al milanese Salvini, senza ragioni lucide e logiche corteggiato da Berlusconi e dalla Meloni dovrebbe essere ricordata per la politica dei “due forni” seguita e sbandierata, la sorte infausta toccata al suo concittadino, Bettino Craxi.