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Home L'Editoriale

Una difesa (controcorrente) della Politica

di Massimo Corsaro
11 Novembre 2014
in L'Editoriale
0
Una difesa (controcorrente) della Politica
       

Nella sua trasmissione di ieri sera Riccardo Formigli, che riesce sempre ad interpretare alla perfezione il ruolo di conduttore comunista, fazioso, falso ed arrogante, ha dapprima ospitato un collegamento con il consiglio comunale di Carrara occupato da cittadini “a-politici” (?), e poi sciolto uno stucchevole peana a favore della partecipazione diretta e popolare come forma a suo dire più avanzata di democrazia.
Questo episodio mi porta ad esprimere delle considerazioni e, spero, ad indurre qualche riflessione.
Il sistema globalizzato, la diffusione della rete, la possibilità di accesso da parte di chiunque non solo alla lettura ma addirittura alla creazione (spesso, purtroppo, all’invenzione) della notizia, hanno totalmente stravolto il flusso della comunicazione e, con esso, della reale o presunta partecipazione nei processi decisionali.
Ma, mi chiedo, siamo sicuri che questo si traduca in un aumento della democrazia? La mia risposta, lo anticipo, é negativa; piuttosto, ritengo che questa nuova condizione induca forme di esaltata ed inconsapevole anarchia.
Provo a spiegarmi. Lo strumento relazionale extra personale, qual’è la rete, e la condivisione di informazioni non certificate e spesso non documentabili, determinano immediate reazioni collettive in cui la massa, percependosi tale, assume con arroganza la presunzione di essere indiscutibilmente nel giusto. Ci si sente in grado di discettare di tutto, certi di aver capito assai più di chiunque e ci si espone, nel rassicurante segreto della propria stanzetta, sempre e solo in una condizione di contestazione e protesta, mai argomentata; sempre infarcita di populismi, demagogie e luoghi comuni. Obiettivo degli strali è “il potere costituito”, incarnato volta a volta dal banchiere, dall’imprenditore e – manco a dirlo – dal politico.
Così, oltre ad essere tutti commissari tecnici della nazionale, possiamo diventare primi ministri, amministratori delegati, a volte papi. E così come non abbiamo invero le conoscenze tecniche per schierare una difesa o attrezzare un attacco, allo stesso modo ci manca ogni base per gestire una chiesa, un’impresa, una società. Ma chi ce lo ricorda è un servo del sistema, e viene seppellito da ingiurie e violenze verbali che solo il distaccato anonimato di una tastiera può garantire.
E qui sta il punto: l’agorà telematica, priva di confronto e contraddittorio, è il sistema per auto celebrare apoditticamente la propria verità, e montare un caso suscitando la pavloviana reazione di frustrati ed insoddisfatti, che trovano nella condivisione dei bytes il mezzo di affermazione e la celebrazione del proprio quarto d’ora di celebrità.
Tutto ciò offre sfogo ai rancori, alimenta raduni spontanea, attira le telecamere, ma non produce soluzioni né costruisce progetti alternativi.
Divenendo fenomeno di massa non regolata, la protesta sconta l’assenza di una fase di elaborazione, condivisione e proposizione che solo organismi attrezzati, con proprio metodo e gerarchia decisionale, possono determinare.
La “massa” non ha capacità di elaborazione, che è propria dell’individuo e di tutti gli ambiti nei quali il singolo esprime la sua visione, la elabora, la confronta e – da ultimo – ne formalizza una sintesi con quanti hanno una sensibilità prossima.
Per questo, pure in un periodo di facile e non ingiustificato riflusso dalla politica, continuo a preferire il buon vecchio partito allo spontaneismo piazzaiolo tanto supportato e strumentalizzato dai talk show.
Per quanto difettati e asfittici, i partiti sono e continueranno ad essere il miglior tramite tra la formazione e l’assemblaggio di idee comuni e la loro traduzione sul campo.
Sia perché un luogo fisico e regolamentato ti obbliga ad immaginare responsabilità e conseguenze di quanto vuoi proporre, a dar forma concreta ad un’espressione verbale, a valutarne fattibilitá e coerenza con una visione di sviluppo della società; sia perché in quei sistemi c’è chi si espone di persona, ci mette la faccia, chiede il consenso su un progetto e corre il rischio di perderlo se non lo realizza (ciò che é accaduto al centrodestra italiano, che ha perso milioni di voti per non aver realizzato neanche in minima parte quella idea di rivoluzione della società che fece innamorare gli italiani dal ’94 al 2008).
Preferisco sapere a chi chiedere conto di promesse mancate, si chiami Berlusconi, Renzi o Paperoga, piuttosto che blandire popoli virtuali cui non v’é poi alcuna possibilità di attribuire sanzione, secondo lo schema culturale – proprio della sinistra – che le colpe sono di tutti e quindi nessuno può essere chiamato soggettivamente a risponderne.
Winston Churchill amava dire della democrazia che essa è la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre. Non stravolgiamone il senso, prima che qualche altro modello diventi più appetibile.

Tags: democraziatelevisione
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