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Una prigione esistenziale chiamata tossicodipendenza

di Gianluca Donati
26 Ottobre 2019
in Home, Società&Tendenze
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Una prigione esistenziale chiamata tossicodipendenza
       

Qualche giorno fa è morta una ragazza nella mia città di Livorno. Non dirò il suo nome, sebbene sia stato riportato ovviamente da giornali e telegiornali. Dirò che aveva diciannove anni e che è stata stroncata in una discoteca da un mix di alcol e droga (ecstasy). Non è certo una novità; molte sono ogni anno le vittime dello “sballo”, e se ho deciso di scrivere su questo caso è perché la notizia mi ha in qualche modo toccato da vicino. La ragazza in questione, infatti, era un’allieva della scuola privata in cui insegna mio fratello, che quando ha saputo del fatto, ne è rimasto sconvolto. Sulla vicenda è tuttora aperta un’inchiesta che vede delle persone indagate.

Lasciamo alla magistratura portare avanti le indagini, fiduciosi che faranno luce sul caso. Stacchiamoci dalla narrazione morbosa di questo singolo fatto, e parliamo del problema nel suo insieme. Di fronte al dramma “droga”, assistiamo generalmente a una spaccatura del mondo della politica, con un centrosinistra generalmente posizionato su idee antiproibizioniste e il centrodestra tendenzialmente contrario a liberalizzazioni e in lotta contro la “cultura dello sballo”. Stiamo parlando ovviamente di “tendenze generali”, non aliene a “eccezioni”; può capitare di trovare qualcuno “a sinistra” che è contrario o quantomeno dubbioso a politiche libertarie sulla droga, e non siamo esenti da soggetti che “a destra”, sono favorevoli alla legalizzazione delle droghe leggere. Il tema è perciò “divisivo” e anche decisamente “impopolare”, ma non per questo siamo esentati da portare avanti una battaglia che è intrinsecamente giusta e doverosa.

In passato, la droga, era “privilegio” (e dannazione), di una stretta minoranza di persone; per lo più artisti, o alto borghesi. È con il Sessantotto che assistiamo a un mutamento radicale del fenomeno, quando la romantica utopia dell’”immaginazione al potere”, pretende di estendere alla collettività, quelle che erano “tare” di geni isolati. La contestazione studentesca si poneva come obiettivo quello di usare le droghe leggere come strumento attraverso il quale sarebbero state “oltrepassate le inibizioni” che – secondo la retorica progressista – erano parte della sovrastruttura borghese – capitalista. Già qui assistiamo a un errore: le droghe come sostanze disinibenti, hanno teso invece a rendere le persone meno “razionali”, e più “istintive”, e, a prescindere dalla problematica della decadenza dei costumi, assistiamo già qui a quel passaggio storico che fu presagito da Augusto Del Noce, ovvero, l’involuzione della sinistra marxista-leninista in “partito radicale di massa”, o per dirla con le parole di Marcello Veneziani, si passava dalla “lotta degli oppressi”, a quella dei “repressi”.

L’obiettivo non era più “la lotta di classe”, ma la liberazione di una borghesia prevalentemente cattolica e tradizionalista, da qualsiasi tabù. Se il PCI voleva rovesciare la borghesia per abbattere il capitalismo, il Sessantotto avviò un processo che avrebbe liberato il capitalismo dalla sovrastruttura borghese – cattolica. Detta in altre parole: il capitalismo sopravvisse alla morte della borghesia, diventando più aggressiva, e scavalcando i confini nazionali si sarebbe globalizzata. Le droghe leggere cederanno presto il posto a quelle pesanti, con i drammatici esiti che conosciamo, ma nonostante ciò, soprattutto i giovani più emotivamente vulnerabili, continuano a fare uso di sostanze stupefacenti, peggiorando la qualità della loro vita, o mettendola a repentaglio.

Questi fatti di cronaca, offrono spunti di riflessione che vedono contrapporsi due opposte visioni del mondo, quella progressista e quella conservatrice. I progressisti, diventato paradossalmente il vassallo del capitalismo mondiale e tecno-finanziario, ed elevano le droghe a “valore di libertà”, mentre sono complementari al progetto di offuscamento delle coscienze per renderle più docili alle soverchierie economiche. I conservatori – eccezion fatta delle frange minoritarie più liberali – indicano viceversa nella droga, un fattore di decadenza etica e di perdita di autentica libertà. Infatti, le droghe – anche quelle leggere – producano un effetto di dipendenza, e quando si dipende da una sostanza, non è possibile dirsi realmente liberi. La droga è una prigione esistenziale.

Le considerazioni secondo le quali bisogna distinguere tra droghe leggere e pesanti, sono ipocrite, infatti, le droghe leggere già producano dipendenza e danni alla salute, e solitamente sono il preludio al passaggio alle droghe pesanti. Improprio anche il discorso che un’eventuale liberalizzazione delle droghe leggere sconfiggerebbero le mafie, che attraverso lo spaccio, si arricchiscono e si potenziano. Basterebbero le parole di un illustre martire come Paolo Borsellino che nel 1989 affermava: «Legalizzare la droga non danneggia la mafia, anzi, (…) Forse non si riflette che la legalizzazione del consumo di droga non elimina affatto il mercato clandestino, anzi avviene che le categorie più deboli e meno protette saranno le prime ad essere investite dal mercato clandestino (…) Resterebbe una residua fetta di mercato clandestino che diventerebbe estremamente più pericoloso, perché diretto a coloro che per ragioni di età non possono entrare nel mercato ufficiale, quindi alle categorie più deboli e più da proteggere. E verrebbe ad alimentare inoltre le droghe più micidiali, cioè quelle che non potrebbero essere vendute in farmacia non fosse altro perché i farmacisti a buon diritto si rifiuterebbero di vendere. Conseguentemente mi sembra che sia da dilettanti di criminologia pensare che liberalizzando il traffico di droga sparirebbe del tutto il traffico clandestino e si leverebbero queste unghia all’artiglio della mafia».

Di fronte a queste parole, intellettuali radical-chic come Saviano, dovrebbero riflettere, o meglio ancora, tacere. Inoltre, alle illuminati argomentazioni del giudice Borsellino, va aggiunta un’annotazione etica e di principio: la legalizzazione delle droghe, sarebbe una “resa dello Stato”, e lo Stato non può diventare “spacciatore”, se non vuole involversi da Stato laico a Stato laido. E se pongo questi dilemmi, è perché l’attuale governo giallo-rosso, potrebbe covare la tentazione di muoversi verso politiche libertarie in materia, (si pensi alle farneticanti parole di Beppe Grillo che propone di togliere il diritto di voto agli anziani perché tendenzialmente più “conservatori”); sostenuto dalla vulgata di pseudo-artistoidi e intellettuali radical-chic determinati a lottare contro le leggi, l’etica e la tradizione, fonti di ogni male.

A queste “pulsioni”, noi dobbiamo dare una risposta, laica, non confessionale, che non indichi nel consumatore abituale o occasionale di droghe, una sorta di criminale, bensì, una vittima di un sistema politico e mediatico che spaccia per libertà, qualcosa che è esattamente il suo opposto, una prigione esistenziale nella quale l’individuo precipita, perché s’illude che quello che è capitato agli altri, non capiterà a lui, perché lui può smettere quando vuole, e perché in fondo, la “trasgressione di una sera”, vale il rischio anche della morte. Una visione nichilista e relativista dell’esistenza avvilente, in cui il giovane precipita soprattutto perché non ha alternative, in una società che non gli consente di avere un lavoro stabile, di non potersi fare una famiglia, di non potersi realizzare professionalmente e personalmente, affinché egli resti eternamente un numero risucchiato da un sistema che ci vuole atomizzati.

Tags: drogatossicodipendenze
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