Novantamila studenti italiani delle scuole medie superiori saranno impegnati da martedì prossimo, 8 aprile, nei test d’ingresso all’università. A chi servono questi test? E soprattutto, perché tre mesi prima della chiusura del corso di studi quinquennale alle superiori? Andiamo con ordine.
Che le università italiane abbiano introdotto il test di ingresso si sa da anni, tanto che l’uso di questo artificio selettivo sembra diffondersi sempre più fra gli atenei e per tutti i corsi. Con risultati distanti dai caratteri che identificano la meritocrazia. È dimostrato, infatti, che selezionare all’ingresso gli aspiranti universitari non coincida con la cernita di studenti qualificati. Insomma, se un’università si preoccupa, per esempio, di avere non più di cento studenti in quel corso sembra poi non poter gioire di una buona percentuale di laureati tale da giustificarne la selezione. Altrimenti qualcuno, fra i professoroni e i cattedratici, dovrà spiegare le ragioni di avere una bassissima percentuale di laureati e se volete, ancor minore percentuale di bravi e pronti lavoratori preparati ad affrontare delicate carriere professionali.
Per carità. Ci sono roccaforti dello studio universitario del pensiero a favore della selezione, perché i laureati sono davvero in grado di affrontare la sfida che la società impone. Tanto forti che superano anche la sfida entro i confini territoriali di appartenenza e finiscono per accettare quella di altre realtà nazionali. Ma restano eccezioni che confermano una regola. Triste. Molti degli studenti, in generale, che hanno superato il test d’ingresso finiscono per vivacchiare nelle sedi universitarie e completare il corso di laurea oltre gli anni previsti dall’ordinamento e dal buon senso. Molti di questi laureati, poi, non sono preparati a competere con i colleghi di altre nazioni e finiscono per ingrossare le file di un esercito imbarazzante, e tutto italiano, di disoccupati di lusso.
Allora, viva la meritocrazia. Ma non quella invocata con i test d’ingresso. Ma quella condizionata da criteri di selezione a corso di laurea avviato. Per tutti. Mi spiego. Facciamo iscrivere a qualsiasi corso universitario, di qualsiasi università italiana, chiunque lo desideri. Ma informiamo questi, che la carriera universitaria passerà al vaglio di criteri di valutazione temporali, che impongono un tot di esami da dover sostenere in un tot di anni. Senza offesa. Ma se al secondo anno di università non sei stato in grado di superare dodici esami, non potrai confermare la tua iscrizione e dovrai cambiare vita. È un esempio. Ma credo riesca a far sentir il grido di vendetta contro la necessità, nelle sedi universitarie, di valutare il talento degli studenti non più nell’arco di quattro/cinque ore di test d’ingresso, magari affrontato nella giornata no e senza voglia di copiare come ha fatto quello seduto accanto al mio banco, ma nell’arco di ventiquattro mesi, quando non hai più tempo per imbrogliare te stesso, i tuoi genitori e il futuro di un Paese, che sempre più ha bisogno di selezionare al meglio la classe dirigente.
Poi. Che senso ha chiedere agli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori di affrontare, a tre mesi dalla chiusura della scuola, questo test. Novanta giorni prima di aver ultimato i cinque anni di studio, se non più importanti, almeno determinanti, significa mandare allo sbaraglio una generazione intera. Quella che già ha pochi punti di riferimento per capire cosa vuole fare da grande. Quella che già fa fatica a resistere alla tentazione di fare un mestiere che garantisca soldi e la possibilità di farne tanti. Quella, insomma, che non riesce a fare i conti con la “passione che ti brucia dentro”.
Consumate così settimane di “open day” (sic) nelle università pronte a offrirsi al miglior offerente. Quegli studenti che smarriti sembrano cercare la bussola fra gli stands sistemati nei corridoi di edifici che da domani, a “open day” finiti, torneranno a ospitare un’università e non più il temporaneo mercatino delle occasioni che finiranno, maggioritarie, per essere perdute. Come quella persa dall’ex ministro Profumo che ha voluto introdurre la novità dei test, appunto già ad aprile. Creando disdicevoli inconvenienti, non solo ai ragazzi, per i motivi appena detti. Ma anche ai docenti delle quinte superiori, che hanno dovuto letteralmente sospendere l’attività e lasciare spazio ai ragazzi per prepararsi all’esame, i test d’ingresso, della vita.
Una follia. Se si pensa, anche, che ad aprile si stanno definendo i giochi per l’Esame di maturità. Definitivamente declassato a vera e antipatica formalità. Alla faccia di quella più volte richiamata meritocrazia, che già dai banchi di scuola delle scuole medie superiori è respinta. All’ingresso delle università con un test.