La definizione, attribuita allo stadio Meazza nel quartiere di San Siro, di “Scala del calcio” non è fuori luogo: rinomato prodigio architettonico, l’impianto milanese (per alcuni, lo stadio più bello del mondo) da decenni ospita eventi sportivi di prima grandezza. Le due squadre che a San Siro sono padrone di casa, il Milan e l’Inter, sono poi due tra i club più gloriosi al mondo: il derby di Milano è parte integrante del costume meneghino, se non addirittura italiano.
Non si tratta del solo derby di Lombardia: la regione, non fosse per il primato della torinese Juventus nell’albo d’oro (36 scudetti, contro i 19 ciascuno delle milanesi), ospita la maggior concentrazione di squadre nella massima serie italiana. In serie A la bergamasca Atalanta è presenza quasi fissa, e vi si sono affacciate più volte il Brescia e il Como; più raramente la Cremonese; molti decenni fa il Lecco, il Mantova e il Varese (quasi alla preistoria del calcio risalgono le presenze del Legnano e della Pro Patria, squadra di Busto Arsizio). Con la promozione in extremis (al termine d’un rocambolesco playoff col Pisa) ottenuta il 29 maggio scorso, un’altra squadra ha conquistato la gloria del maggior campionato di calcio: il Monza. Si aggiungono così, alla storia delle sfide in serie A, altri derby lombardi: Monza-Atalanta, Monza-Cremonese e due quasi stracittadine: Monza-Inter e Monza-Milan.
Sinora, il momento più alto nella storia del club brianzolo era la vittoria della (non più esistente) Coppa Anglo-Italiana (nel 1976, un gol di Francesco Casagrande bastò a sconfiggere il Wimbledon).Nonostante vi abbiano militati vari campioni di fama internazionale (Becalossi, Buriani, Casiraghi, Costacurta, Di Biagio, Evra, Massaro), il Monza sembrava condannato alla “maledizione di Renato Pozzetto”: il grande comico (varesotto di Laveno e milanista), nel film di Bruno Corbucci del 1979 “Agenzia Riccardo Finzi… praticamente detective” pronuncia la frase “Tifo per il Monza, non saliremo mai in serie A” (rassegnazione condivisa dall’inno della curva biancorossa).
Tutto è cambiato nel 2019, quando Silvio Berlusconi, non sopportando più la nostalgia del calcio vissuto in prima persona, ha acquistato l’Associazione Calcio Monza, designando il fratello Paolo quale presidente onorario e Adriano Galliani in qualità di amministratore delegato. Il sodalizio Berlusconi-Galliani resta uno dei più vincenti nella storia del calcio: proprietario del Milan per 31 anni (dal 1986 al 2017; presidente nei primi venti, per poi assegnare la vicepresidenza vicaria a Galliani), Berlusconi ha vinto con i diavoli rossoneri 29 titoli. Cosa sia stato il Milan di Berlusconi è sin troppo noto, anche a chi non segua il calcio: la rivoluzione calcistica dell’allenatore Arrigo Sacchi e del suo continuatore Fabio Capello, i tre “tulipani” Rijkard-Gullit-Van Basten, l’invalicabile linea difensiva Baresi-Maldini-Costacurta-Tassotti-Baresi, le Supercoppe Intercontinentali vinte a Tokyo, lo scudetto vinto contro il fortissimo Napoli di Maradona, il Real Madrid annichilito a San Siro con un 5-0 al quale seguirà la finale vinta contro lo Steaua Bucarest per 4-0 in una Barcellona invasa da tifosi milanisti, la finale di Atene vinta, contro ogni pronostico, 4-0 contro il Barcellona allenato da Cruijff… il Milan degli Invincibili è stato una leggenda sportiva ammirata anche dagli avversari (e si rivelerà un enorme cartellone pubblicitario per il Berlusconi politico).
Questo, per quel che riguarda il passato. Adesso il Milan è campione d’Italia in carica: lo scorso maggio ha conquistato il suo diciannovesimo scudetto, titolo che mancava dal 2011; nel mezzo, un decennio molto brutto. Da parte sua il Monza, messa da parte la carenza di blasone (rimproverata dagli acerrimi rivali del Como, i cui tifosi, quando organizzano le trasferte al Brianteo, scrivono sul depliant “destinazione: sobborgo di Milano”), non si presenta in serie A come l’ennesima Cenerentola neopromossa. Il calciomercato della scorsa estate ha visto il Monza protagonista assieme alla Roma e per l’appunto al Milan: per rendere il club brianzolo competitivo ad alti livelli sono arrivati in maglia biancorossa vari giocatori con esperienze nelle migliori squadre del momento – il portiere Alessio Cragno (ex Cagliari ed ex nazionale), il difensore spagnolo Pablo Marì (ex Arsenal), il centrocampista e nuovo capitano Matteo Pessina (ex Atalanta e una delle colonne dell’Italia campione d’Europa), il suo collega di reparto Stefano Sensi (ex Inter e Sampdoria), gli attaccanti Gianluca Caprari (fattosi notare l’anno scorso con il Verona) e Andrea Petagna (ex Milan, Atalanta, SPAL e Napoli).
Quando l’amministratore delegato, Galliani, disse che il Monza non avrebbe lottato per la salvezza, ma avrebbe avuto per scopo la metà della classifica, a nessuno sembrò un’esagerazione: la rosa biancorossa sembrava davvero competitiva. Tali rosee previsioni furono però offuscate, già ad agosto, dalla bruttissima prima fase del campionato: sotto la guida di Giovanni Stroppa, l’allenatore della promozione (già contestato per la mancata salita in A del 2021, e per quella troppo risicata – quarto posto e playoff, con una squadra da primo piazzamento – dell’anno seguente), il Monza si faceva rovinare la festa dell’esordio in A nel proprio stadio dal non irresistibile Torino (1-2), per poi subire una sfuriata della squadra italiana più forte del momento, il Napoli (4-0 al San Paolo); con l’Udinese il risultato era lo stesso del Torino, e il terribile agosto dei brianzoli terminava all’Olimpico, con un secco 3-0 della Roma; dopo un’altra sconfitta casalinga (0-2 con l’Atalanta) giungeva finalmente il primo punto (1-1 a Lecce). Un punto solo, in sei partite: un disastro che convinceva Galliani e Berlusconi a non avere più pazienza con Stroppa (al quale si dava credito per il suo trascorso da giocatore del Milan) e a sostituirlo con Raffaele Palladino. Nemmeno quarantenne, carriera da giocatore rovinata da infortuni (titolare nella Juventus in serie B), brevissima esperienza da allenatore (tre anni con le giovanili del Monza): eppure il suo Monza (dopo l’addio anche del difensore Andrea Ranocchia), audacemente ultra-offensivo, si è trasformato nello squadrone promesso da Galliani.

Alla sua prima partita, Palladino ha ottenuto un risultato sul quale non avrebbe scommesso nessuno: gol del danese Gytkjaer, 1-0 contro la Juventus (in crisi), e i ragazzi del Brianteo svoltano. Dopo la pausa per le nazionali, arrivavano le conferme: 0-3 a Marassi contro la Sampdoria (agonizzante) e 2-0 in casa contro lo Spezia. La sconfitta per 1-0 contro il coriaceo Empoli non allarmava: nella partita infrasettimanale di Coppa Italia, contro la sorprendente Udinese allenata da Andrea Sottil, Palladino chiedeva ai suoi di dare spettacolo, ottenendo un roboante 2-3 allo stadio Friuli, che consegnava ai monzesi la qualificazione agli ottavi (contro la Juve) e un biglietto da visita col quale presentarsi in tutta serietà all’appuntamento milanese.
Questa la situazione alla vigilia: il Milan di Pioli terzo in classifica (e in corsa per lo scudetto), già qualificato (in virtù del piazzamento nella stagione precedente) agli ottavi di Coppa Italia (affronterà il Torino), e in difficoltà nel girone di Champions League (terzo, a pari punti con la Dinamo Zagabria, dietro a Chelsea e Salisburgo); il Monza di Palladino dodicesimo in classifica (ma, non fosse stato per le cinque sconfitte consecutive di Stroppa, sarebbe più avanti), e reduce da una gran vittoria nei sedicesimi di Coppa Italia. Inappuntabile il commento dell’allenatore biancorosso: loro sono fortissimi, ma non andiamo a San Siro per cercare il pareggio. Rispettosi, ma audaci.
Il pubblico è quello delle grandi occasioni: messi in vendita sedici giorni prima, i 35mila biglietti disponibili per i tifosi milanisti (altrettanti sono gli abbonati) sono andati esauriti in due ore. Oltre duemila i tifosi presenti nel settore ospiti (che ne contiene quasi 5mila): considerando le dimensioni della tifoseria monzese, un gran successo. Quasi 73mila gli spettatori d’una partita di calcio che è un piccolo pezzo di storia del costume: Monza è, in questo sabato di San Siro, il capoluogo della Brianza, che si affaccia a Milano e rivendica la propria identità (sino al 2004, Monza era in provincia di Milano). Assai più piccola (“appena” 120mila abitanti: terza città della regione, dopo Brescia e prima di Bergamo), meno nota sul piano internazionale e meno “pesante” nell’economia e nella politica italiane ed europee rispetto a Milano, “Modoetia” è comunque una bellissima città, con una grande storia (da Teodolinda alla Corona di Ferro, sino al regicidio di Umberto I) e luoghi di grande interesse: la splendida Villa Reale col suo immenso parco (uno dei più grandi d’Italia), l’Arengario, la Villa Durini che ospita la Rinascente, il Ponte dei Leoni e la Torre Viscontea; come per Milano, il suo monumento più celebre è forse il Duomo; e, per restare in ambito sportivo, l’autodromo è celeberrimo, e ospita uno degli appuntamenti storici della Formula 1. Lo stemma dell’Associazione Calcio Monza evoca la storia della sua città: la Spada dei Visconti davanti a uno scudo, sormontati dalla Corona di Ferro.
“Nec spe nec metu”: il Monza fa suo il motto di Isabella d’Este, e Palladino schiera una formazione sbilanciata in avanti. In porta Di Gregorio, il modulo è 3-4-2-1: in difesa Caldirola, Marì e il bulgaro Antov; a centrocampo il brasiliano Carlos, Sensi, Barberis e Ciurria; in attacco Caprari e il capitano Pessina dietro al portoghese Dani Mota. Il Milan, in vista della partita di Zagabria da cui dipenderà il suo percorso europeo, schiera quasi solo seconde linee, col modulo 4-2-3-1: in porta il rumeno Tatarusanu; in difesa Dest, Kjaer, Tomori e il capitano, il francese Theo Hernandez; il marocchino Bennacer (da alcuni considerato l’elemento migliore della rosa rossonera) e Tommaso Pobega (il solo italiano) a centrocampo; in attacco Messias, Brahim Diaz e Rebic dietro il belga Origi, reduce da sei anni col Liverpool e alla sua prima partita da titolare in rossonero. L’arbitro è Livio Martinelli da Tivoli; guardalinee Zingarelli e Palermo, quarto uomo Prontera, al VAR Guida e Mondin. La partita comincia alle sei d’un pomeriggio soleggiato con un velo di foschia; nel mattino ha piovuto, ma non è una giornata fresca, ci sono ben 24 gradi (troppi, essendo quasi a fine ottobre). Lo scrivente si colloca poche file sopra la panchina degli ospiti, assieme a Roberta, tifosa milanista da Rovato, e Marco, che da abbonato ha assistito ai trionfi del Milan sacchiano; prima del match, hanno salutato in piazzale Lotto i pullman di entrambe le squadre.
San Siro stracolmo e bardato di striscioni rossoneri è uno spettacolo; la tutt’altro che sparuta pattuglia monzese, dall’alto della curva Nord, contribuisce agitando cartelloni bianchi e rossi, e tifando a gran voce la loro squadra. Milan e Monza sinora si sono incontrate soltanto in alcune amichevoli (la più recente, nel settembre 2020, finì 4-1 per i rossoneri) e in entrambe le stagioni nelle quali il Diavolo sprofondò nell’inferno della serie B, per un totale di quattro partite ufficiali, tutte vinte dal Milan: nella stagione 1980-’81, 1-2 a Monza e 1-0 a Milano; nel 1982-’83, 1-4 a Monza e 4-0 a Milano. Il Milan finì al primo posto, risalendo in A, entrambe le stagioni; il Monza retrocesse (ultimo posto) in C nel 1981 e finì settimo nel 1983 (paradossalmente, nel campionato in cui subì le sconfitte più nette col Milan). All’epoca, San Siro aveva ancora soltanto due anelli, e non aveva ancora la copertura (il terzo anello e il “tetto” saranno aggiunti per il mondiale di calcio del 1990); il Monza giocava allo stadio Sada, minuscolo (duemila posti) impianto prospiciente la stazione ferroviaria (nel 1988 è invece stato inaugurato il bell’impianto del Brianteo, vicino alla Tangenziale Est e ampliato la scorsa estate), tuttora ospitante la squadra femminile locale (il Fiammamonza).
Il primo derby milanese-brianzolo in serie A comincia con grande spessore tecnico e ritmi elevati, e ci resterà per tutta la partita. Il Monza è sin da subito aggressivo, ma il Milan fa valere la qualità: passa un quarto d’ora, e dalla porta Tatarusanu lancia il pallone verso Brahim Diaz; il minuto attaccante andaluso si comporta come la proverbiale lama arroventata nel burro, taglia la squadra avversaria e inganna Di Gregorio: il portiere del Monza può solo girarsi e osservare il pallone rotolare verso la rete. Lo svantaggio iniziale non intimorisce il Monza, che si porta avanti e a metà primo tempo si rende pericoloso per due volte: prima Sensi fa partire un bolide da una ventina di metri, ma lo spilungone di Bucarest vola a intercettare il pallone; sarà poi un difensore, Carlos Augusto, a impegnarlo, ma Tatarusanu respinge il pallone con un ottimo riflesso.
Il Milan deve riportare in avanti il gioco, e lo fa; a quattro minuti dalla fine della frazione di gioco, Origi offre il pallone in area a Diaz, che si coordina benissimo e scaglia un tiro sul quale Di Gregorio non può ancora nulla. Marinelli non assegna minuti di recupero, perciò al 45° la partita si interrompe sul 2 a 0 per il Milan, guidato da un furibondo Diaz, che molti davano per relegato in panchina dopo le prove convincenti nello scorso campionato, e che invece già settimane fa è stato protagonista della bella vittoria contro la Juventus (gol di Tomori e suo). Il secondo tempo comincia con una sostituzione per parte: Pioli in difesa manda il forte Kalulu al posto del bravo Dest, Palladino a centrocampo cambia Barberis con Ranocchia (Filippo). La smania di riscatto si ritorce contro Diaz, che dopo aver passato a Rebic un pallone (sprecato dal collega) si fa male scattando; così Pioli lo sostituisce con Charles De Ketelaere, esangue lungagnone belga prelevato dal Bruges, annunciato come un nuovo Van Basten ma che, a parte una bella prova contro l’Inter, sinora in rossonero ha deluso (tredici partite e ancora nessun gol). Dall’altra parte Palladino sostituisce Caldirola (un disastro in difesa) con Carboni, e aggiunge chili in attacco: Petagna al posto di Mota.
Pochi minuti dopo, Pioli cambierà l’ottimo difensore Kjaer con l’esitante Gabbia, e in attacco Rebic con l’idolo di casa, il brasiliano Leao. Al ventesimo del secondo tempo, Messias innesca Origi: il marcantonio belga ha tutta l’intenzione di impreziosire la sua prima partita da titolare milanista con una marcatura, così si presenta di prepotenza alla soglia dell’area monzese e da lì scaglia un bolide: terzo gol rossonero, il passivo è troppo gravoso per la qualità dimostrata dal Monza, ma il Milan sta giocando da grande squadra. Dopo il gol Palladino spinge la squadra in avanti, sostituisce Sensi con Bondo e Caprari con Gytkjaer, e il Monza ottiene una punizione. Al tiro va Filippo Ranocchia, preciso ma parabile: Tatarusanu però non vede subito partire il lancio, e si muove troppo tardi: tocca con le dita il pallone, che però va in rete. Il secondo portiere del Milan (il formidabile francese Maignan è infortunato) era stato sinora protagonista di un’ottima prestazione, con parate spettacolari e restando sempre ben piazzato.
Al 70°, sul punteggio di 3 a 1, cominciano dieci minuti di sbandamento per il Milan: alla conclusione della partita non manca proprio un attimo, e il Monza non considera assurdo rincorrere il pareggio. Ranocchia si presenta a tirare un calcio piazzato da posizione simile a quella del gol, e San Siro trattiene il fiato, un secondo gol monzese aprirebbe incognite inquietanti: ma il pallone è respinto dalla barriera. Si presenta in area Carboni, ma Tatarusanu ha ritrovato fiducia, blocca il pallone e manda avanti i compagni. Pioli sceglie la prudenza, e toglie la punta, Origi: al suo posto un connazionale (sono ben tre i belgi schierati dal Milan in tutta la partita), Vranckx. Il Milan ritrova la quadra, e può da qualche minuto contare sulla sintonia fra Hernandez e Leao: il terzino francese lancia il centravanti brasiliano, che vola verso l’area e trafigge il povero Di Gregorio. 4-1, i minuti sono 84, la partita è virtualmente finita. Quattro minuti di recupero, resterebbe tempo per far uscire De Ketelaere dalla crisi: al 93’ Messias gli serve sul piede un gol fatto, ma il biondino liscia il pallone. Cinque gol sarebbero stati troppi per la bella squadra monzese: chi però esce peggio dal campo è proprio De Ketelaere, che scende negli spogliatoi senza salutare gli spettatori col resto della squadra. Applausi per entrambe le squadre: 4-1 sono una sconfitta ingenerosa per il Monza, che ha dimostrato tanta qualità e soprattutto il carattere necessario ad affrontare a viso aperto una squadra forte quale il Milan è; d’altro canto, la vittoria dei diavoli rossoneri ci sta tutta.
Milan-Monza è stato un grande spettacolo sportivo: una partita di calcio con ben cinque gol, tra due ottime squadre. Il Milan, per conquistare lo scudetto della seconda stella, dovrà superare la concorrenza di un Napoli tornato forte come ai tempi di Maradona; il Monza, superato il catastrofico avvio, è sulla buona strada, e continuerà a offrire buone prove. Non è un dettaglio: la squadra brianzola ha per lo più giocatori italiani, ed è lecito sperare che contribuirà a far uscire il calcio italiano dalla crisi in cui versa da anni, crescendo nuove leve. Interrogato su chi avrebbe tifato, alla vigilia Galliani ha risposto che sarebbe stato scegliere tra due mamme; poche ore prima della partita ha cambiato risposta, dicendo: il Milan è come la mamma, il Monza come la moglie, scelgo la mamma. Ha vinto la mamma, ha vinto Milano, ma Monza si è portata bene sul campo.