Scuole, teatri, cinema, luoghi di aggregazione e di cultura: tutto resta inesorabilmente chiuso. Il virus ci stritola fra le sue spire, ci toglie il respiro, ci divora lentamente. Questa serpe sembra avere mille vite, muta la pelle, si rende variante a se medesima. L’angoscia, la paura, la rabbia si coniugano con la rassegnazione, la mestizia, lo scoramento più cupo. La luce in fondo al tunnel ancora non si scorge.
L’eterno ritorno dell’identico, mi verrebbe da dire. Sarebbe facile fare proprio un atteggiamento fatalista e rinunciatario, condirlo di un certo cinismo ascetico di fondo, bagnando il tutto, infine, con un provvidenzialismo manzoniano d’annata, ampiamente riveduto e stravolto. I dardi di Apollo ci trafiggono forse per colpa nostra? L’inquinamento, lo sfruttamento del suolo, le diseguaglianze economiche e sociali, la malvagità umana, in tutte le sue forme, si ritorcono, forse, contro l’antico padrone?
Bisogna essere onesti intellettualmente e riconoscere come l’umano, nel corso della storia, si sia reso troppo spesso protagonista di scelte moralmente discutibili, finendo per deturpare sciaguratamente la bellezza del creato. Basti pensare alle bombe atomiche, alle manipolazioni ardite del genoma umano o ai recenti esperimenti su virus e batteri, condotti con scellerata audacia.
L’arco di Dio è stato riposto nella faretra della volta celeste: la promessa fatta a Noè è ancora valida. L’immagine di un Dio che colpisce l’uomo ingrato e peccatore, che lo mette duramente alla prova, è di certo terribilmente allettante, ma non è compatibile con la logica della kenosis, dello svuotamento di sé che redime l’umanità intera. Non è un modo di pensare cristiano.
Ciò che scarseggia sulle tavole non è soltanto il pane, ma la speranza, cioè la capacità di attribuire un senso agli accadimenti del vissuto. L’uomo postmoderno ha rinunciato alle grandi narrazioni, ai valori identitari, infettandosi con l’oscurantismo, il nichilismo, la predilezione per il virtuale rispetto al reale.
La fatica della nostra epoca risiede nell’ottusità intellettiva, nell’ageusia diffusa verso il gusto dell’essere, nelle pubertà interrotte. Non diamo ascolto alle cattive compagnie, non saliamo sul carretto del Postiglione, non lasciamoci guidare al mattatoio di ogni idea e pensiero: “Uno scrittore che afferma che non ci sono verità o che tutta la verità è semplicemente relativa ti sta chiedendo di non credergli. Quindi non farlo”. (Roger Scruton)