Il concetto di città giardino è una ipotesi di pianificazione urbanistica in cui piccoli centri che devono avere un numero di abitanti non superiore a 32.000, compresi gli abitanti della campagna circostante, sono circondati dal verde e dove c’è una giusta proporzione tra il numero dei fabbricati ad uso abitativo e quindi utilizzati dai residenti, quelli per le attività industriali e quelli per le altre attività; i servizi sono realizzati con lo scopo di rendere le città giardino autosufficienti, cioè dotate di tutti i servizi necessari ed utili per il vivere quotidiano e al contempo godere dei vantaggi propri della vita di campagna: il verde, l’assenza dell’inquinamento atmosferico ,dell’inquinamento acustico, fenomeno quest’ultimo più recente ma altrettanto pericoloso per i danni che può provocare alla salute, del degrado, dei rischi tipici delle città e nello stesso tempo, permettere agli abitanti della città giardino di godere dei vantaggi della città.
Il primo a pensare all’idea di città giardino, il cui termine originale in inglese è “garden city”, fu l’architetto inglese Ebenezer Howard che scrisse, nel 1902, un interessante saggio “ The Garden Cities of Tomorrow” (in italiano “Le città giardino di domani” Editore Asterios) immaginando un’alternativa possibile all’industrializzazione e all’aumento della popolazione nei centri urbani. Fenomeni intrecciati che causarono una forte riduzione della qualità della vita specie per le classi più deboli.
Le conseguenze del sorgere delle metropoli o comunque di città di grandi dimensioni, della estensione di agglomerati urbani, del numero delle industrie rispetto ai servizi offerti, alla qualità della vita, alle esigenze del singolo e della comunità, furono nefaste. L’architetto britannico iniziò a sviluppare l’idea di salvare le città dal congestionamento e programmare e gestire l’espansione arrestando la conurbazione spontanea. Si pensò di realizzare nuove città dalle dimensioni contenute per dimensioni e numero di abitanti con residenze abitative lineari di uno due piani al massimo, collegate tra loro con servizi, negozi, teatro, luogo di culto, uffici, zone industriali, aree verdi.
La prima “garden city” fu fondata nel 1903 su un terreno acquistato dallo stesso Howard a circa 50 Km da Londra: Lethworth. Nel corso del Novecento alcuni grandi architetti come Le Corbousier, Frank Lloyd Wright trovarono ispirazione dall’idea di Ebenezer Howard per la costruzione di nuove città (new towns) che vennero realizzate intorno a Londra nel secondo dopoguerra. È inoltre interessante ricordare che Le Courbusier progettò Ville Radieuse, un’idea di città lineare immersa nel verde fino all’88% della superficie complessiva della città dalla estensione illimitata e suddivisa in fasce parallele: gli uffici in alto, le residenze al centro, l’industria in basso. Il progetto, come noto, non venne mai realizzato
Anche in Italia furono realizzati innumerevoli borghi, rioni, città satellite ispirandosi sempre al principio di Howard. Roma viene considerata la città italiana con il maggior numero di quartieri ispirati al modello di città giardino. Vale la pena citare tre esempi realizzati in Italia considerati tra i migliori progetti concretizzati in tal senso. Il primo prende il nome di “Città Giardino Aniene” ed è ubicato sulla via Nomentana su progetto dell’architetto Gustavo Giovannoni e il contributo determinante dell’architetto Alberto Calza e da Filippo Cremonesi, famoso politico dell’epoca fascista, che fu prima sindaco di Roma e successivamente commissario straordinario, nonché Governatore di Roma.

Il progetto originario conteneva i servizi per i cittadini: uffici comunali, scuola, chiesa, cinema teatro, ufficio postale, farmacia, ambulatorio. Aniene può essere considerato, a mio modesto parere, la miglior realizzazione italiana. Purtroppo dagli inizi degli anni ‘50, a causa dell’edilizia “spontanea” non solo dei singoli ma anche dei tanti speculatori, il tessuto urbano originario con gli anni è stato reso irriconoscibile e oggi si stenta a riconoscerlo.
Altro esempio che, al contrario, ha mantenuto le sue caratteristiche di città giardino è Milano Marittima, la nota località balneare ubicata nel comune di Cervia, che potette usufruire del primo piano regolatore del comune risalente al 1911 e che fu ispirato al modello di Ebenezer Howard, grazie all’impulso del pittore Giuseppe Palente, considerato il “padre” di Milano Marittima. A distanza di oltre 100 anni il nucleo urbano è rimasto fedele all’idea originaria della città giardino, interamente immersa nel verde, a misura d’uomo, con un’ottima qualità della vita, con larghi viali, villini eleganti, la presenza di numerosi pini. Milano Marittima è considerata uno degli esempi più importanti di città giardino d’Europa grazie al suo persistere, alla sua continuità di modello.
Un altro esempio è il quartiere città giardino Vanzo a Padova , che fu costruito a partire dagli anni ‘20 e i lavori proseguirono fino alla fine degli anni ‘50. Il quartiere è a due passi dal centro storico, sommerso dal verde curato ed ancora oggi è rimasto intatto ed è uno dei quartieri più signorili di Padova.
Un concetto ripreso di recente, pur con alcune differenze, dall’architetto franco – colombiano Carlos Moreno, professore alla Sorbona e consulente della sindaca di Parigi Anne Hidalgo, nel progetto “la ville du quart d’heure”. L’idea consiste nel poter svolgere la tua vita quotidiana in città in 15 minuti dalla tua abitazione riducendo al minimo il traffico, di conseguenza l’inquinamento con lo scopo di migliorare la qualità della vita. L’idea, come noto, al momento non risulta abbia dato risultati concreti.
Torniamo all’oggi. I grossi centri urbani si sono fusi, saldati tra di loro realizzando il fenomeno della conurbazione spontanea e creando uno sviluppo incontrollato con una serie di costruzioni lineari abitative e non, senza spazi comuni, privi di verde che, secondo degli studi compiuti da sociologi e criminologi, comportano la capacità di isolare le persone a danno della socialità, l’isolamento sociale a vantaggio di un individualismo esasperato.
Ma c’è dell’altro: il fenomeno della “conurbazione”riguarda non più solamente le grandi o le medie città, ma, dagli anni ‘70 ad oggi, si è esteso ed accentuato anche nelle città di dimensioni minori dove non esiste più uno stacco tra queste e i borghi, le frazioni, i piccoli centri urbani bensì c’è stata una fusione, una saldatura tra queste e gli effetti negativi sopra descritti sono altrettanto evidenti. Tutto questo ha portato a ridurre gli spazi verdi e a ridurre le dimensioni spaziali delle campagne.
Concludo con uno studio della Confcommercio pubblicato di recente dal titolo “Demografia d’impresa nelle città italiane”, un’analisi del commercio al dettaglio e del commercio ambulante. In 10 anni sono spariti 100.000 negozi di vicinato e sono state chiuse oltre 16.000 attività ambulanti. Siamo di fronte ad un fenomeno apparentemente inaspettato ma prevedibile. Ci troviamo di fronte alla desertificazione dei centri storici e dei quartieri che una volta erano autosufficienti.
Con la desertificazione dei centri storici e dei quartieri autosufficienti anche le comunità che ci vivono, ne soffrono a causa della riduzione dei servizi, dell’assenza di centri sportivi per la pratica degli sport collettivi soprattutto quelli a basso costo, assenza di sicurezza, maggiore isolamento, minore socialità, vivibilità scarsa.
Le soluzioni per invertire la rotta ci sarebbero ma coloro che amministrano, sia livello locale che a livello regionale e centrale dovrebbero avere come minimo una capacità progettuale e soprattutto la capacità di volgere lo sguardo e studiare, studiare, studiare.