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Urbanistica/ Quell’idea barbina di Smart City…

di Francesco Marotta
29 Novembre 2014
in Home
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Urbanistica/ Quell’idea barbina di Smart City…
       

E’ in atto una vera rivoluzione. Qualcuno direbbe che viviamo nel pieno di una cultura digitale che sta investendo le metropoli. Il frutto di queste nuove politiche, avvallate dalla Commissione europea e basate su una prospettiva che indica un riversamento pari alla metà della popolazione mondiale nelle aree metropolitane entro i prossimi 40 anni, hanno tutta l’aria di essere un’esortazione, interpretata come meglio si crede e come è più comodo far credere. Le città italiane che hanno aderito alle priorità della Commissione e al mercato unico digitale, rifacendosi ossequiosamente alla formula che “con un mercato unico digitale connesso possiamo creare un’ulteriore crescita di 250 miliardi di euro”, non sono poche.

 

Ma quali sono le città italiane che dovrebbero avere fatto passi da gigante per regolare il possibile aumento dell’emissioni di C02, causate dal consumo eccessivo delle energie che supererà il 75% ? Ecco chi ha deciso di abbracciare il programma Smart City e il piano di investimenti per finanziare progetti rivolti ad incrementare il valore energetico e la sostenibilità delle città degli stati membri dell’UE, con pessimi risultati: Milano, Torino, Genova, l’Aquila, Catania e Bari. La comprensibile curiosità sull’idea “Smart” del capoluogo lombardo che si appresta ad ospitare Expò Milano 2015, battendo ogni pronostico negativo e affidandosi per lungo tempo, oltremisura, ai ghirigori degli studi d’Architettura ed Urbanistica della giunta arancione, trova in una risposta in una conferma a dei dubbi giustificati da una certa concezione dello sviluppo e del progresso.

 

L’architetto Boeri, ex assessore alla Cultura, Expo, Moda e Design della giunta meneghina (rottamato a suo tempo da Pisapia, ma poco importa: bisogna tenere presente che certe dichiarazioni non riguardano solo una componente politica) ha una sua interpretazione su quale tipo di città l’Expò contribuirebbe a costruire: «l’Expò è un turbo, un acceleratore straordinario. Attrae risorse e capitali che normalmente non arrivano in città. Il prima problema che dobbiamo porci è se stiamo utilizzando Expò al meglio». In sostanza, l’aspetto tecnologico (mappatura a 360) e la condivisione sociale degli spazi, degli ambienti di lavoro, delle politiche di social housing (?) connesse al concetto di Smart City, e, a tutto quello che è correlato alla mobilità e trasporto cittadino, sono una questione che riguarda un club solistico di una società bloccata da una mescolanza sottrattiva. Posta, persino sopra gli spazi cittadini e la libertà degli individui, attraverso un processo di uniformazione e di allargamento alla vita pubblica delle intese del mercato.

 

Una soggezione che ha innescato un processo di tossicità dovuto alla tecnologia e all’erronea rimestatura di alcune idee dell’architetto e urbanista inglese Raymond Unwin. L’artefice nel 1902 insieme a Parker, Lethaby e Lutyens, della città-giardino di Letchworth Garden City, sita a 50 chilometri a Nord di Londra. Il frutto e la foglia di fico del riadattamento a dir poco singolare del saggio intitolato A Peaceful Path to Real Reform dell’urbanista e connazionale Ebenezer Howard. Una città in vetrina che ha una strada-viale principale chiamato Broadway, parecchio simile ai viali alberati d’oltre Oceano. Una semplice casualità. A reggere l’economia del villaggio verde, tanto per cambiare, erano soprattutto le staralette e alcuni attori dello spettacolo dell’epoca. Praticamente una enclave artistico-culturale, aperta nell’accogliere con gaudio quella stratificazione incrociata, proveniente dalle antenate delle prime agenzie di architettura di Boston; intente ad appropriarsi in modo definitivo, della progettazione iniziale in perfetto stile borgo medioevale.

 

Da un villaggio in cui la vita doveva essere meno caotica, con tutti i benefici che potevano derivare dalla bassa densità, quasi rurale dei suoi abitanti, ad un amaro risveglio: l’applicazione di uno schema urbano, riscontrabile nelle maggiori metropoli europee, che privilegia solamente le aree residenziali e chi le abitava. Proprio come è avvenuto a Milano con il progetto Porta Nuova che ha coinvolto i tre quartieri di Garibaldi, Varesine e Isola, dove al di fuori delle aree riconvertite e poco più in là dei boschi verticali, c’e’ una città prossima al disfacimento. Poca importa. Barra dritta e avanti tutta con la connessione wi-fi “libera” per tutti. Purché sia Smart. Purché sia City.

Tags: ambientearchitetturaBariCataniaexpo 2015GenovaGran BretagnaL'AquilaLondrametropoliMilanoTorinourbanistica
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