Dopo aver consegnato alla storia, riferite al fascismo, formule magiche, antesignane dei rinomati “Baci Perugina”, come la “calata degli Hyksos” e la “parentesi della storia”, Benedetto Croce ha dettato una frase sul suffragio universale, che la dice lunga sul rischio della introduzione illimitata “uno hiatus par che si apra … tra le classi dirigenti e competenti e le masse elettorali”. Ai partiti, secondo l’ipotesi scolastica dello studioso napoletano, sarebbe dovuto spettare il compito o meglio l’onere della designazione nelle assemblee elettive appunto del “buon numero di persone intelligenti, capaci, di buona volontà”. Croce mostra di possedere concetti superficiali e astratti, privi di connessione con la logica ed il buon senso.
Come invece osserva Sabino Cassese “nei maggiori paesi europei (Francia, Italia e Regno Unito) il numero degli iscritti rappresenta solo il 2% della popolazione maggiorenne mentre nell’ultimo mezzo secolo in Italia la fuga dei partiti è stata ancora più vistosa: oggi il numero totale degli iscritti non sembra superiore ai 7-800 mila mentre nei primi anni della Repubblica, quando la popolazione italiana era di 46 milioni, i soli iscritti ai tre principali partiti erano circa 4 milioni. Va considerato e sottolineato che le adesioni erano, soprattutto per la DC, il PCI e il PSI, di natura clientelare e nepotistica sia a livello generale che ancora di più locale.
Non va ignorato, come ben osserva Cassese, che “i partiti sono in crisi perché hanno abusato del loro potere: invece di essere tramite tra società e Stato, sono divenuti organi dello Stato”, anche se il discorso va assorbito salvo eccezioni dei raggruppamenti di minoranza. Come corrisponde alla quotidianità un nuovo rilievo del giudice emerito della Corte Costituzionale sul rassismo senza limite dei dirigenti ad ogni livello. I partiti, poi, nella loro quasi assoluta totalità, “hanno finito per cercare all’esterno i candidati alle cariche pubbliche” con la ridicola e risibile formula dei “rappresentanti della società civile”.
L’editorialista denunzia l’aspetto peggiore: “i vertici si limitano a fare una politica del giorno per giorno, ascoltando i sondaggi invece che gli iscritti, gli umori invece che gli orientamenti”. Si confezionano – come è il caso costante di Berlusconi – formule e non si curano i precedenti e la lezione inalterabile della storia.
Conclude Cassese con un interrogativo pessimistico, causa e ragione del crescente astensionismo: “C’è, quindi, una crisi della forma partito, e di conseguenza una crisi della rappresentanza, da essi assicurata. Questa doppia crisi alimenta da un lato culture [sarebbe più centrato dire manifestazioni esteriori] politiche cesariste, dall’altro aspirazioni di democrazia diretta [effimere e fragili]. Sarà possibile e con quali mezzi rivitalizzare la democrazia rappresentativa?”.
Da un presente senza dubbi nebuloso il futuro è per molti equivoco e carico di problemi.