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Veneziani ricorda Berto Ricci, un italiano con la schiena dritta

di Redazione
3 Febbraio 2016
in Rassegna Stampa
1
Veneziani ricorda Berto Ricci, un italiano con la schiena dritta
       

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Nessuno si è ricordato di Berto Ricci, morto in Libia il 2 febbraio del 1941. Molti lettori non lo conoscono per niente o lo conoscono assai poco, a volte confondendolo con Berto lo scrittore e a volte con Ricci, il gerarca. Perché Berto Ricci fu scrittore e fascista, seppure eretico.  Tanti anni fa pubblicai alcuni sui scritti inediti su Intervento grazie a Beppe Niccolai e alla sua famiglia; e ripubblicai il suo principale libro, Lo scrittore italiano. Lo pubblicai con una sigla editoriale di destra che all’epoca risultava infamante, in cui persino gli stessi titoli, pubblicati da altri editori avevano un’accoglienza dieci volte superiore alla nostra; ma in quell’occasione, stranamente, il silenzio stampa s’interruppe e fioccarono belle recensioni ammirate da tutte le parti, da Repubblica al Corriere della sera. Per l’occasione riuscì a strappare l’introduzione a Indro Montanelli che fu suo grande amico e che lo definì “il solo maestro di carattere che abbia avuto”.

E in quella definizione che condivido appieno, sta la vera ragione per cui dico, non da intellettuale e non solo da scrittore e giornalista ma da italiano che mi vergogno di aver dimenticato i cent’anni dalla nascita di Berto Ricci. Perché fu un maestro di carattere, un italiano con la schiena diritta, uno che fu anarchico quand’era difficile esserlo e poi fascista, ma anche in pieno regime non ebbe vantaggi e benché ammirato da Mussolini in persona, che gli aprì le colonne del Popolo d’Italia, si vide ostacolato nei suoi difficili esercizi di passione ed eresia, ebbe problemi per la sua ostilità al carrierismo di alcuni gerarchi, all’imbecillità militante di altri, all’ipocrisia borghese, all’alleanza con la Germania e all’importazione del razzismo. La sua rivista, L’Universale, fu una delle migliori uscite nel ventennio, scritta da ragazzi (più qualche gloria matura come Ottone Rosai), da cui uscirono fior di fascisti, di antifascisti e di afascisti. Ne cito solo tre per non annoiarvi, uno per categoria: Diano Brocchi, Romano Bilenchi e Indro Montanelli. Si lessero in quelle pagine le migliori intelligenze della gioventù, sospese tra fascismo ed eresia, come Dino Garrone, per esempio. Berto Ricci ebbe seri problemi con la sua rivista e fu un sollievo quando fu chiusa per ragioni ancora controverse. Lui smise di scrivere e partì volontario in guerra. E da volontario morì in Africa, eroe di un’Italia che non lo aveva riconosciuto e di un fascismo verso cui mostrava ardore e insofferenza.

Morì alla stessa età di Che Guevara ed io a volte ho detto ai ragazzi che s’infervorano per il Che: guardate che di miti romantici come lui, ne abbiamo altri in casa nostra, da varie parti. Per esempio Giaime Pintor, tra gli antifascisti. Per esempio Berto Ricci, tra i fascisti inquieti. Ecco due belle facce da poster e da magliette, come Salvo d’Acquisto e Italo Balbo, per restare in Italia, in epoca e in tema. Ma non voglio parlarvi di preistoria, di fascismo e antifascismo. No, voglio parlarvi dell’Italia d’oggi e dirvi che mi ha fatto male accorgermi di far parte della schiera smemorata degli italiani che non si sono ricordati di uno di loro fra i migliori, per idee, coerenza e dignità. Pantano ha telefonato a suo figlio Paolo e ha parlato con sua moglie, Mafalda, di 95 anni. E commossi hanno ricordato un uomo per bene, un italiano fiero che seppe unire la passione ideale al disincanto, la fede alla critica. Amava questa porca Italia e nondimeno la considerava porca. Intelligenza affilata e mai posata, rifiutò di entrare nel dissenso, come gli suggerì Montanelli che aveva sicuramente più fiuto di lui quanto al clima che cambiava. Preferì costeggiare l’eresia, abitare in quella fascia scomoda e isolata dove non si è fascisti organici e nemmeno antifascisti, ma si è fedeli ad un’idea e ribelli ad un potere. Perciò non ha fatto epoca e quel che è peggio non ha avuto una riabilitazione postuma, un riconoscimento alla distanza. Dimenticato.

Vorrei tornare a chiedermi: ma possibile che quella pianta d’italiani sia sparita o sia disseccata? Dove si nasconde e dove s’imbosca? Non mi interessa da che parte sta, mi interessa come ci sta. Nostalgia di Berto Ricci, del suo italiano asciutto e vivo, della sua scrittura tesa e mai superflua, acuta nel cogliere le cose e mai condiscendente. Un italiano di carattere tra tanti caratteristi.

Marcello Veneziani
Tags: Berto RiccifascismoIndro MontanelliMarcello Veneziani
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Commenti 1

  1. Maurizio Sisca says:
    7 anni fa

    Condivido dalla prima all’ultima parola. L’Italia ha bisogno di uomini come lui, seri e coerenti, disposti al sacrificio supremo pur di onorare le proprie idee. Purtroppo il contesto contemporaneo, della cultura impegnata e della società civile, non offre molti esempi d’onestà. Carrierismo, arroganza, incoerenza sono all’ordine del giorno, a tutti i livelli. E sono gli affaristi di ieri e di oggi ad avere la meglio.
    Ma ciò che fa più male è la circostanza significativa che quel mondo culturale che avrebbe dovuto commemorare un uomo come Berto Ricci non esiste più, sconfitto non da un nemico in armi ma dalle proprie mancanze, dall’affarismo e dall’incoerenza che lo ha portato a privarsi di ogni identità.

    Rispondi

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