Tanti anni fa a Roma, dopo una manifestazione, mentre gli altri di Azione Giovani si facevano accompagnare a fare i soliti giri turistici, io e un fiorentino che avevo conosciuto al corteo, decidemmo che era più potabile per noi due andare a fare un giro a Trastevere per cercare di abbordare un paio di turiste.
Conoscemmo due ragazze molto carine e le portammo a prendere un aperitivo (per altro approfittai per insegnare agli incolti baristi romani e al fiorentino l’un per due e quindi il due per quattro). Erano venezuelane, cameriere di un hotel lì nei dintorni, da pochi mesi a Roma, con il sogno nel cassetto di diventare come Aida Yespica e cercare la via del successo.
Tra una chiacchierata e l’altra, tra un aperitivo e l’altro, in attesa di aumentare la pressione dell’arrembaggio per arrivare alle mete più favorevoli, non riuscii a evitare di far loro la domanda sulla situazione in Venezuela e Chavez (era uno dei tanti periodi di disordini e manifestazioni di piazza). Fu un errore tattico. Una delle due ci parlò in termini durissimi di Chavez, l’altra non apprezzando le parole dell’amica le dette sulla voce dicendo l’esatto contrario, poi non ci calcolarono più e si misero prima a discutere animatamente tra loro, poi a inveirsi contro furibonde e infine dovemmo intervenire per dividerle. Inutile dire che la serata con loro finì lì con gran contrizione nei miei confronti del fiorentino.
Ad ogni modo la cosa fu intellettualmente interessante per capire il clima di odio politico in Venezuela.

Questo piccolo esempio è solo per premettere un concetto. Il Venezuela è molto diviso, è in preda a una guerra civile latente da anni e prima di dividere in buoni e cattivi come i tifosi da stadio come fanno commentatori poltici professionali o dilettanti sarebbe serio riflettere. Da una parte c’è la longa manus degli USA, che con Trump, avendo deciso una politica estera tipo dottrina Monroe (cioè disimpegnarsi in Europa e Asia, ma intervenire più direttamente nelle Americhe) di sicuro spingono contro Maduro.
Dall’altra c’è un governo pessimo, che si dice socialista ma strizza l’occhio a tutte le follie radical chic, dà elemosine ai suoi sostenitori e affama il ceto medio che è furibondo con lui. E’ utile a questo proposito leggersi quello che dicono le associazioni di italiani in Venezuela.
D’altra parte gli Usa, da quando Kissinger, uomo dall’intelligenza luciferina, è in pensione, pare che non sappiano più organizzare un colpo di stato (a parte le rivolte colorate e le primavere, ma quelle sono cose più da Open Society di Soros che direttamente governative): così in Turchia con Obama han fatto una figuraccia, così in Venezuela il fatto che l’esercito ad oggi stia con Maduro fa presupporre che il colpo di stato verrà sedato, o nella peggiore delle ipotesi ci sarà una lunga e brutta guerra civile. E noi? Cosa dovremmo fare?
Come sempre in politica estera non bisogna ragionare coi sentimenti, con la domanda da film americano “chi sono i buoni?”, ma in base all’interesse nazionale. E quindi analizzare prima di tutto qual è il nostro interesse nazionale in Venezuela .