Ogni occasione è colta da Berlusconi per infastidire con le sue banalità e la sua supponenza, condite da calcoli, nella massima parte dei casi, ormai prevedibili e scontati.
In occasione dell’ennesima presentazione del programma, ha espresso in avvio due considerazioni scontate sul disastro ferroviario, incredibilmente avvenuto nella “capitale morale” ( e non in una sperduta e sottosviluppata landa lucana, calabrese, siciliana o sarda): si è accorto del ritardo e dell’incuria in cui si trovano le infrastrutture italiane rispetto all’immancabile UE e della necessità di “accertarne la cause affinchè non si ripetano”.
Immedesimandosi in un potenziale elettore assennato e lucido, non si può mancare di infastidirsi per l’imperativo ormai decrepito dettato da Berlusconi, quello di dover credere, dover confidare e quindi dover sottostare unicamente a lui. Non è logico, non è democratico, non è, per usare un termine caro all’egolatra ed usato in forma inattendibile, liberale, esprimere la propria volontà senza conoscere il nome del potenziale premier. E’ umiliante ascoltare la glorificazione dello scudiero di una vita Tajani, che ha dimostrato – “risum teneatis” – “lealtà assoluta alle idee [quali?] di FI e [recte asservimento] a Silvio Berlusconi” e l’altra ipotesi di altre “due personalità in serbo” in attesa servile del suo verdetto. Con i vassalli fin troppo obbedienti – assicura Berlusconi – ha parlato, lasciandoli nella posizione doverosa di “attenti”.
La soluzione adottata per il Lazio non merita alcun commento e va rigettata senza esitazione. La candidatura emersa, dopo defatiganti ed autolesionistiche trattative, del fondatore del fondatore “Movimento Energie per l’Italia”, sconfitto a Milano dall’insignificante Sala e bocciato dallo stesso autocrate, provocherà certamente un ulteriore allontanamento dai seggi con lapalissiana ripercussione anche per le politiche, dato l’abbinamento delle due votazioni.
La sconfitta, ormai scontata, anche per il macroscopico ritardo operativo e propagandistico, accumulato nei riguardi di Zingaretti e della Lombardi, porterà, comunque, come indennizzo, ben 4 insperati seggi parlamentari – ridiamo ancora per non piangere – per “un partito nuovo, costruito in solo un anno di lavoro” e smanioso di “consolidare la presenza in tutta Italia, nelle comunità, nei territori”.
Il candidato, già militante alla gioventù socialista, poi all’ufficio studi della CGIL, alla corte di De Michelis ed in altri centri di potere della Prima Repubblica, “agnello sacrificale” nella rinnovata edizione della vetusta spartizione (Roma alla sinistra, Milano al centro berlusconiano – leghista), ha sfoderato orgogliosamente per la sua pulviscolare creatura il termine “partito”, addirittura criminalizzato dai leaders, tre capi partito o per dirla, nel rispetto del loro rifiuto, capi fazione.